domenica 29 gennaio 2017

RECENSIONE:METALLICA - HARDWIRED...TO SELF DESTRUCT (2016)


METALLICA - HARDWIRED...TO SELF DESTRUCT (2016)
LABEL :BLACKENED RECORDINGS/UNIVERSAL
FORMAT : LIMITED EXCLUSIVE 2 LP 180G RED VINYL








I fans dei Metallica, a distanza di anni dal "Black album" -  croce e delizia della band - continuano a restare divisi : chi si ostina a definirli "venduti" e finiti nell'oblìo dello show-business, chi invece, con occhio più obiettivo, cerca di capire (e in seconda battuta, magari anche apprezzare) il loro percorso musicale e la loro evoluzione.
Il sottoscritto rientra nella seconda categoria : è stato il "Black album" ad avvicinarmi al mondo di Hetfield e soci, ho apprezzato "Load" ma poi sono rimasto deluso da "Reload", "St.Anger" era forse troppo duro e tirato per le mie orecchie e "Death magnetic" mi è sembrato piuttosto palloso e privo di ispirazione. Ma questo altanenare, rispetto ai primi lavori del gruppo, nasce esattamente dal 1990, anno di uscita dell'album che li ha resi mainstream e conosciuti al grande pubblico. Il "Black album" è stato un album spartiacque, ed è innegabile che brani come "Nothing else matters", "Enter sandman" e "The unforgiven" siano pezzi di enorme spessore, sebbene siano considerati "commerciali". "Hardwired...to self destruct" potrebbe essere il disco che metterà d'accordo tutti, i fedelissimi che seguono i Metallica dagli esordi,detrattori "a prescindere" degli ultimi lavori, e gli amanti del loro trash piu' orecchiabile e radiofonico. Vediamo il perchè.
Ammetto di aver ignorato l'uscita di questo disco nelle prime settimane in cui è arrivato sugli scaffali, e ammetto di non aver seguito la promozione antecedente : semplicemente, non lo consideravo una priorità. Poi un pomeriggio ho accompagnato due mie carissime amiche a Latina per una presentazione di un libro, e come mia abitudine in ogni "trasferta", lontano dagli usuali territori di caccia discografica, sono entrato in uno dei due negozi che avevo cerchiato sulla cartina della piccola città laziale. 
Mentre sfogliavo le copertine di dischi di ogni genere, senza apparentemente cercare qualcosa di preciso, il negoziante ha iniziato a suonare in sottofondo (neanche tanto, a dir la verità) "Hardwired", e, sinceramente non è che ci stessi prestando più di tanta attenzione. All'improvviso, un pezzo aperto da una breve schitarrata, tirato e possente, mi è montato sopra il corpo come un autentico carro armato che, con i suoi cingoli, mi ha letteralmente travolto.
Questo è stato il mio primo impatto con "Now that we're dead". Uscito dal negozio, un po' frastornato, sono andato su youtube (ahhh gli smartphone, che grande invenzione!) per ascoltare qualche brano di questo nuovo lavoro dei Metallica. Solo assaggi, sia ben chiaro, nessun ascolto approfondito e definitivo, e camminando mi sono accorto che mi stavo allontanando dal negozio di dischi. Sono tornato indietro, sempre spulciando tra i già numerosi video che i Metallica avevano pubblicato sul loro canale, e quasi a scatola chiusa ho acquistato il doppio vinile rosso che si vede nella foto.
Perchè? Perchè mi è bastato poco per capire che è un album valido, anzi un ottimo album. Si intuisce già dall'iniziale "Hardwired", una raffica di mitragliatrice che ti colpisce in pieno stomaco e che è solo un preludio a quello che poi ti aspetta. 
"Atlas, Rise!" segue gli stessi schemi della title-track, perchè ricorda molto i Metallica storici pur avendo un giro di chitarre e un ritornello che ti rimane facilmente stampato in testa.
Chi ama il metal, non può non apprezzare un'apertura tanto adrenalinica quanto devastante.
Dopo questi due pugni in faccia, riecco i cingoli di "Now that we're dead",a tratti straripante, Hetfield che infila una strofa dopo l'altra accompagnato da questo incedere massiccio e rabbioso, con la rullata della cassa di Lars Ulrich incalzante e quegli assolo abbinati  ai cambi di tempo, da sparare a tutto volume in autostrada sulla corsia di sorpasso mentre intoni il ritornello:
"All sinners, a future
All saints, a past
Beginning, the ending
Return to ash
Now that we're dead, my dear
We can be together
Now that we're dead, my dear
We can live forever!"
E su quella corsia, ci rimani anche per tutta la durata della successiva "Moth into flame", uno speed trash indiavolato che ti entra nelle vene e ti circola per tutto il corpo come un virus, facendoti battere a ripetizione il piede per terra con lo sguardo incazzato. Anche qui, il connubio fra Metallica "old-style" e melodia è ben assemblato, ed è impossibile non riconoscere quell'alchimia perfetta tra tutti i membri della band finalmente ritrovata. 
Hetfield si scaglia contro le "pop-queen", consumate dalle anfetamine e il prezzo che hanno dovuto pagare per la celebrità effimera, che ti seduce, ti ruba l'anima, e poi ti riduce ad una falena che finisce per bruciarsi sulla fiamma :
"...Light it up ah, light it up
Another hit erases all the pain
Bulletproof ah, kill the truth
You’re falling, but you think you’re flying high
High again
Sold your soul
Built a higher wall
Yesterday
Now you’re thrown away
Same rise and fall
Who cares at all?
Seduced by fame
A moth into the flame..."
"Am I savage" passa quasi inosservata dopo tanto clamore, ma sfigura solamente perchè i brani che l'hanno preceduta erano davvero di alto profilo. Alla fine però, è solo una pausa, perchè la seguente "Halo on fire" è un altro grande pezzo, strutturato tra i giri armoniosi delle strofe, che ricordano molto i poppettari "Load" e "Reload" ma con piglio diverso, più energico, più hard, che poi sfocia in un assolo finale che non fa altro che nobilitare un brano già di per sè efficace.
Si ritorna alla rabbia e agli improvvisi cambi di ritmo con "Confusion", fotografia esemplificativa del lavoro di Hetfield e soci per piacere a tutti senza snaturare il loro profilo.
Qualche passaggio a vuoto c'è nella seconda parte del disco ("Dream no more" e "Murder one" per esempio, non brillano come ispirazione ed originalità, e nulla aggiungono a quanto già precedentemente detto), del resto non sto parlando di un album perfetto; ma lo standard generale viene comunque tenuto alto da altri pezzi come "ManUnkind", la cui chitarra ti rimbomba in testa mentre l'incedere della batteria ti procura la solita scarica di adrenalina, e "Here comes the revenge", che riprende a bastonare di brutto, ed ancora una volta proprio con quella rullata capace di far tremare i subwoofer delle casse; una "Now that we're dead" parte seconda, alla resa dei conti, piu' sorda e introspettiva.
"Spit out the bone" chiude il disco nello stesso modo con cui si era aperto:decisione,spavalderia e chitarre a volontà, roba al fulmicotone da far venire voglia di spaccare tutto quello che si ha tiro (e quindi attenzione a non avere niente di infrangibile intorno, per il bene della casa e dello stereo).
Che i Metallica abbiano puntato a cavalcare l'onda del metal commerciale dopo il famigerato "Black album", è innegabile, come è comprensibile che poi, chiusi in un angolo abbiano cercato di correggere il tiro con "St.Anger" e "Death magnetic", scontentando l'altra fetta di fans conquistati dopo l'anno zero di "Nothing else matters" (quanto è scomodo questo disco in ottica Metallica, eh!). 
"Hardwired...to self destruct" riesce finalmente a focalizzare nel modo giusto l'obiettivo che i nostri si erano prefissati nell'ultimo ventennio:mettere d'accordo tutti. 
Quasi mai noioso, e a tratti davvero trascinante, risulta essere un lavoro maturo e riuscito, che lascia ben sperare per le future produzioni. Se Hetfield,Ulrich,Hammett e Trujillo riusciranno a mantenersi fedeli a questa linea, ne vedremo ancora delle belle. Perchè nonostante la carriera trentennale, di cose da dire ne hanno ancora tante, a quanto pare. 
VOTO : 7,5/10
BEST TRACKS : "NOW THAT WE'RE DEAD", "MOTH INTO FLAME", "ATLAS,RISE!", "HALO ON FIRE", "HERE COMES THE REVENGE"


domenica 15 gennaio 2017

RECENSIONE:GEORGE MICHAEL - FAITH (1987)

GEORGE MICHAEL - FAITH (1987)
LABEL : EPIC
FORMAT : LIMITED EDITION BOXSET LP+2CD+DVD+BOOK







Il 2016 è stato un anno orribile per la musica. Perdite come quelle di David Bowie,Prince,Leonard Cohen,George Michael, ovvero artisti completi,carismatici,innovativi,lasciano un vuoto impossibile da colmare, specie per chi, come me, è stato svezzato dai loro dischi.
"Diamonds and Pearls" di Prince e "Faith" di George Michael furono due dei primissimi cd che mi vennero comprati quando ancora ero un adolescente impreparato sulla musica e che si apprestava ad accostarcisi in modo "serio", quindi è intuibile sia quanto questo disco significhi per me e sia quanto quest'anno maledetto abbia tolto al sottoscritto.
Scrivere di "Faith", in questo momento, non può che essere una sorta di tributo dovuto, e necessario, ad un'artista poliedrico, cantautore e compositore di melodie immortali, che ha contribuito non poco alla mia formazione musicale e che inevitabilmente lascia un senso di incompiutezza, vista la sua reticenza alla pubblicazione di lavori nuovi specie negli ultimi anni.
Scoprii George Michael grazie a MTV - la cara, vecchia MTV che trasmetteva, una volta, solo video musicali - ascoltando la riuscitissima reinterpretazione di "Somebody to love" al Freddie Mercury Tribute, accompagnato dai Queen. In quei giorni, il chiodo fisso era mettere le mani sull'E.P. di prossima uscita "Five Live" che conteneva questa cover dal vivo, ma fu proprio la stessa MTV a sparigliare le carte e ad indirizzare la spesa del mio ristretto budget verso "Faith". Avvenne un pomeriggio, quando, con il video di "One more try" rimasi letteralmente ipnotizzato e ammaliato dalla bellezza di questo pezzo. Me ne innamorai, per la sua struttura così semplice ma allo stesso tempo sentita, sofferta, e per il tappeto di tastiere persistente ad accompagnare quel grido disperato che sfocia in una riflessione amara:
"So I don't want to learn to
   Hold you, touch you
     Think that you're mine
       Because it ain't no joy
          For an uptown boy
             Whose teacher has told him goodbye 

                Goodbye, goodbye..."
Quando certi brani ti lasciano attonito in questo modo -  e sono ben pochi quelli che ci riescono al primo ascolto - già sai che saranno pezzi della colonna sonora della tua vita.
E quindi acquistai il cd di "Faith" per poter riascoltare "One more try" all'infinito, per poi accorgermi che non avevo ottenuto solo QUEL brano,  ma avevo tra le mani un grande album.
Scritto e prodotto quasi interamente da Michael, "Faith" è un album ancora oggi imprescindibile per chiunque ami il pop raffinato.
Perchè? Per 3 motivi : intanto non è il classico album anni 80, interamente sintetizzato e campionato, ma ha una sua struttura ben precisa ed uno stile ben definito, seppur acerbo (la vera anima di George Michael è venuta fuori successivamente, in parte con "Listen without prejudice" e interamente con "Older" e "Patience"). E poi, non è un album con due singoli e inutili riempitivi, anzi : la selezione dei brani - seppur ristretta rispetto agli standard odierni, ma sempre di 1987 parliamo e quindi più di struttura vinilistica che di digitale - non scende mai di livello.
Il terzo motivo? E' un album coraggioso. Sebbene già Madonna in quegli anni stesse usando la provocazione come promozione e la musica come portabandiera di una libertà espressiva e di un linguaggio più aperto e più esplicitamente sessuale, ancor prima di "Erotica" George Michael presentò alle radio e alle emittenti televisive "I want you sex", che ovviamente creò scandalo (tanto da essere bannata e censurata da molte di esse) ma che fu, inevitabilmente, un'ulteriore picconata al bigottismo e alla mentalità retrograda ancora presente in quel periodo.
Certo, sarebbe un errore ricordare "Faith" solo per la struggente "One more try" e per "I want you sex". Intanto, è il disco con cui George Michael costruì la sua identità : il giubbotto di pelle, l'orecchino con il crocifisso, i jeans attillati e gli stivaletti a punta divennero un abbigliamento iconico, e il successo dell'album lo elevò allo status di rockstar al pari dei "grandi" dell'epoca (Michael Jackson,Madonna,Prince). Inoltre, questo disco, con una base solidissima di brani validi ed una varietà che non si discosta mai dall'idea di base, creò uno stile artistico riconoscibilissimo.
Quindi il funky e le influenze del primo Prince sono solo lo spunto su cui è stata costruita la struttura portante di brani come "Hard day" e "Monkey", quest'ultima capace di affrontare - seppur in senso metaforico - un tema scottante (sempre all'epoca) come la dipendenza dalle droghe. E quando uno pensa di aver già un'idea chiara di quel che è "Faith", ecco la sorpresa "Kissing a fool", dove George Michael sperimenta per la prima volta quelle atmosfere jazzate e swing che sono poi diventate un marchio di fabbrica dei suoi dischi successivi.
L'atmosfera delicata di "Father figure", vellutata e notturna, regala un altro episodio di rilievo, innalzando ulteriormente la qualità dell'album. Il brano risulta essere il più sensuale di tutto il disco, con la voce sospirata di George Michael che canta:
"That's all I wanted
    Something special, something sacred
       In your eyes
For just one moment
   To be bold and naked
      At your side
Sometimes I think that you'll never
   Understand me
Maybe this time is forever
   Say it can be...."

"Hand to mouth"è un altro pezzo memorabile, con un'apertura melodica eccezionale e le tastiere che accompagnano incessantemente il ritmo synth in loop. Il tema della libertà, non solo artistica, è esemplificato nelle sue parole :
"I believe in the gods of America 
     I believe in the land of the free
       But no one told me (No one told me)
        That the gods believe in nothing
So with empty hands I pray
    And from day to hopeless day
       They still don't see me..."

Quella libertà tanto inseguita durante l'avventura con Andrew Ridgeley negli anni a nome Wham!, trovò qui uno sfogo momentaneo, ma non definitivo. Terminato il tour di "Faith", infatti, George Michael dovette di nuovo combattere per difendere la sua indipendenza artistica nella guerra contro la Sony e le case discografiche.
In ogni caso, "Faith" resta a mio avviso l'album di George Michael più vicino alla perfezione, soprattutto considerando gli anni in cui è uscito. La rielaborazione dei canoni della musica pop degli anni 80 fusa con uno stile tanto essenziale quanto originale, è un qualcosa che distingue questo disco dalle altre produzioni di quel periodo; non a caso, è stato inserito nei 500 migliori album della storia da Rolling Stone.
La curatissima riedizione del 25ennale è quanto di meglio un amante di questo album potesse avere : un box contenente il vinile, un doppio cd con l'album ed una serie di remix (già editi nei singoli dell'epoca), un dvd con tanto di documentario, intervista a George Michael e tutti i video tratti dall'album, e per chiudere un libro fotografico con commento del disco e la trascrizione di un'altra intervista a Michael.
(R.D.B.)

VOTO : 8/10
BEST TRACKS : "One more try", "Father figure", "Faith", "Monkey". 

venerdì 6 gennaio 2017

RECENSIONE:EVERGREY - THE STORM WITHIN' (2016)

EVERGREY - THE STORM WITHIN' (2016)
LABEL : AFM
FORMAT : LP - LIMITED EDITION SILVER VINYL





Nell'ambito del progressive metal, gli Evergrey di Tom S.Englund sono sempre rimasti fedeli alla loro linea : chitarre possenti, ed una buona dose di melodia (quasi sempre dovuta alla presenza di tastiere evocative) abbinata all'elettronica.
Dopo 20 anni di carriera ed un lungo periodo di silenzio, "The storm within" ripropone le stesse caratteristiche dei primi dischi, nonostante a tratti il risultato complessivo possa sembrare più morbido ed orecchiabile rispetto agli esordi. Per chi si aspettava dei cambiamenti sarà una delusione, per chi invece è rimasto affascinato dai loro lavori precedenti, sarà una piacevole conferma. 
Questo concept album (con testi collegati l'uno all'altro) è un'analisi dell'essenza dello spirito umano, con le sue contraddizioni e le sue debolezze, e di quella "tempesta interna" che nei momenti di difficoltà intimorisce l'uomo,e lo tormenta nella continua ricerca di una non ben definita stabilità emotiva. Questo dibattito interiore è fatto di alti e bassi, momenti in cui si reagisce e momenti in cui lo sconforto ti assale, senza apparentemente lasciare una via di uscita. 
E così,all'energica e combattiva "In orbit", che recita:
             "I'm caught here in this vacuum
                I'm falling from a sunless sky
                   I'll rid myself of value
                      And leave this emptiness behind..."
si contrappone la tristezza raccontata in "The impossible" per una persona che non c'è, o che non si può più avere vicino :
           "It is cold here it is freezing
            While you're asking the impossible
            Because it's impossible to be this alone..."
Questo è un pò il leitmotiv dell'album, che si apre con "Distance", pezzo potente e deciso che parte e finisce con dei "rintocchi" di pianoforte che spianano la strada ad un riff incalzante. Il primo singolo "Passin'through" prosegue sulla stessa scia, con una veste più commerciale e radiofonica soprattutto nel preludio al ritornello, melodico e di grande impatto. La furia di "My allied ocean" trova sfogo negli splendidi assoli chitarristici di Henrik Danhage, mentre "Astray" e "The lonely monarch", pur risultando piuttosto piatte e prive di sussulti, risultano gradevoli anche dopo diversi ascolti. 
La voce di Carina Englund (moglie del leader) impreziosisce la meravigliosa e toccante "The paradox of the flame", accompagnata dal suono dei violini che si sposa in modo naturale con il pianoforte.
E indubbiamente le ballads sono il pezzo forte di questo disco, tant'è che il momento più struggente (e l'episodio più riuscito di tutto l'album -  così riuscito che già al primo ascolto sapevo che avrebbe trovato posto nella mia personale lista delle migliori ballate metal di sempre) resta quello di "The impossible", un urlo disperato da vivere ed ascoltare in solitudine, guardando il mare in pieno inverno.
La title track "The storm within" è un altro lentone, gelido come le temperature invernali, che gioca su una chitarra deicsa e possente che improvvisamente sparisce, e in appena un secondo torna più rabiosa che mai. I continui cambi di ritmo non intaccano la struttura melodica del brano, che resta struggente e malinconica: senza ombra di dubbio, un grande pezzo, da riascoltare più volte per apprezzarne la trasparente bellezza.
Nel complesso, "The storm within" non ha grossi cedimenti, anche se a tratti la proposta di alcuni brani può sembrare ripetitiva e scontata. Se si dovevano festeggiare i 20 anni di carriera, gli Evergrey con questo lavoro lo hanno fatto senz'altro in modo egregio. 
L'edizione limitata in vinile argentato ad effetto "liquido" è spettacolare : la musica è incisa su 3 facciate del doppio lp, ed il quarto lato è un "etched-side" inciso con dei disegni di una costellazione, un pianeta ed altri simboli che richiamano l'artwork della copertina.                            (R.D.B.)

VOTO : 7/10
BEST TRACKS : "The impossible", "The paradox of the flame", "In orbit", "Passin'through".




RECENSIONE:GHOST - MELIORA (2015)

GHOST - MELIORA (2015)
LABEL : LOMA VISTA RECORDINGS
FORMAT : LP - LIMITED EDITION YELLOW/BLUE SPLATTERED VINYL





Non potevo non iniziare questo blog di recensioni con quella che per me è la band del momento.
I Ghost sono già al terzo album, e nonostante il mio "ritardo", posso comunque affermare di aver seguito un ordine cronologico, scoprendoli ed ascoltandoli per la prima volta con il loro album di esordio "Opus Eponymous". E quindi, dopo essere passato per "Infestissumam", e i due E.P. "If you have Ghosts" e "Popestar" (successivo, come uscita, a questo lp) con "Meliora" avevo già un quadro generale della loro produzione.
Chiunque si celi dietro il trucco di Papa Emeritus (che sia il Papa I,II o III - io continuo a credere sia sempre la stessa persona) e dietro le maschere dei "Nameless ghouls", sa il fatto suo : questi sono musicisti con la M maiuscola, che magari potranno far storcere il naso a chi vive esclusivamente di heavy metal grezzo e rude, e a chi crede che questo genere non possa essere commmerciale; perchè, attenzione, sempre di commerciabilità parliamo,del resto se non ottieni un minimo di successo, per quanto bravo puoi essere, rimarrai sempre nel limbo degli sconosciuti.
Ebbene, la loro proposta - studiata a tavolino - alla resa dei conti non offre niente di nuovo : il loro rock/metal con testi a sfondo esoterico ed anticlericale è un terreno già ben calpestato da King Diamond e dai suoi Mercyful Fate sul finire degli anni '80, e ancor prima (ed in tempi ancora più difficili) dai nostrani Death SS, divenuti precursori di un genere (la "Horror Music") che poi si è espanso in tutta Europa generando band come i Cradle of Filth (per citarne l'esempio più eclatante) e da cui diversi gruppi della scena black metal scandinava hanno tratto ispirazione; guarda caso, i Ghost sono svedesi, e questo non è un dettaglio da poco. Inoltre, il face-painting del frontman Papa Emeritus deve molto - se non tutto - al già citato King Diamond, e per quanto riguarda l'aspetto piu' teatrale in sede live, anche agli storici e americanissimi Kiss.
Mescolate queste carte, aggiungeteci una buona dose di pop (già, il pop!) con richiami al classic rock anni 70, ed avrete i Ghost. 
Detto questo, "Meliora" è la naturale evoluzione dei primi due dischi del combo di Linkoping, ed è un grande disco, senza dubbio. Il perchè è presto detto : qui non si parla di scopiazzature, nè di emuli senza anima, perchè la band ha la capacità di rielaborare tutti gli ingredienti di cui ho parlato sopra in modo originale e professionale, e perchè il frontman Papa Emeritus ha carisma da vendere ed una presenza scenica che abbaglia. E la musica è senza dubbio valida : sono solo 10 tracce, di cui 2 interludi strumentali che nulla aggiungono al disco, quindi qualità in luogo della quantità. Il disco inizia con "Spirit", che è la chiave per aprire la porta del mondo dei Ghost, dove questo papa cattivo è la figura suprema che ti intrattiene con la musica dei suoi misteriosi demoni infernali. Il brano è accompagnato da un persistente organo che accompagna le chitarre, predominanti e robuste, ed è seguito dalla quasi "progressive" e molto settantiana "From the pinnacle to the pit", chiaro omaggio al loro primo lavoro molto piu' AOR. E poi arriva "Cirice", che non ha bisogno di presentazioni : con questo pezzo i Ghost hanno vinto un Grammy (sì, un Grammy, davvero!), splendidamente strutturato tra chitarre potenti (tipiche reminescenze dei Mercyful Fate) ed un ritornello magnetico e tanto dolce quanto inquietante. La strumentale "Spoksonat" fa da battistrada alla gemma incastonata nella mitra del papa cattivo e dei suoi ghouls : "He is"  ti entra in testa in modo assurdo, tanto da ritrovarti a fischiettarne il ritornello in autobus mentre vai al lavoro.
La melodia (che riecheggia molto lontanamente "The sound of silence" di Simon & Garfunkel), dolce ma sinistra allo stesso tempo, è scandita dalle parole solenni del testo:
    "He is, He is the shining and the light without whom I cannot see
        He is, insurrection He is spite, He is the force that made me be
           He is, Nostro Dispater, Nostra Alma Mater
              He is...."
Inutile chiedersi a chi si riferisca con queste parole....
E poi? Con "Mummy dust" la voce del Papa si fa minacciosa, mentre in "Majesty" sembra di sentire un brano dei Judas Priest finchè il cantato e l'immancabile organo lo trasformano  in un brano chiaramente in stile Ghost. C'è giusto il tempo di riprendersi un minuto - con l'interludio strumentale "Devil church" -  che ci si ritrova quasi alla fine di questo inquietante viaggio sonoro, con la memorabile "Absolution", il cui incedere rallenta poco prima dell'apertura ariosa del ritornello accompagnato dalle tastiere. La chiusura è affidata all'inno "Deus in Absentia", sinistramente aperto dal rintocco di un orologio a pendolo, e il cui ritornello verrà scandito da Papa Emeritus e ovviamente cantato a squarciagola dai fans in concerto :
             "The world is on fire
                And you are here to stay and burn with me
                  A funeral pyre
                     And we are here to revel forevermore.."
Molti puristi del metal criticano i Ghost. Pare che appena qualcosa di questo genere sfoci nel commerciale, gli artefici di tale "offesa" debbano essere per forza etichettati come venduti e banditi dagli stereo. Ma se si va oltre a questo aspetto, e non ci si lascia ingannare dalle apparenze, i Ghost sono quanto di meglio abbia partorito la scena metal negli ultimi anni. "Meliora" è un disco vario e godibilissimo, che ha l'unica pecca, forse, di durare troppo poco.
Una volta finito, la tentazione di premere di nuovo il tasto "play" e di riascoltarlo è tanta. E per quanto mi riguarda, chi ci riesce, ha sempre vinto.                          (R.D.B.)


Voto : 8,5/10
Best tracks : "Cirice", "He is", "Majesty", "Deus in absentia".