giovedì 18 gennaio 2018

PLAYLIST:THE CRANBERRIES

PLAYLIST : THE CRANBERRIES




Lo dico forte e chiaro:avrei voluto parlare dei Cranberries in un momento diverso.
Magari analizzando un nuovo disco appena uscito. 
Ma questa emorragia di perdite nel mondo della musica, purtroppo, mi porta a dedicare una chiacchierata sul quartetto irlandese con l'amarezza di non poter mai più sentire nulla che venga intonato dalla voce, unica ed inimitabile, di Dolores O'Riordan.
E quindi questa playlist, e questo mio scrivere, hanno almeno due motivi:la prima, è che le dita battono sulla tastiera cavalcando l'onda emozionale di una perdita che - per qualche ragione che ancora non riesco a mettere a fuoco - mi ha colpito al pari di quelle di Prince, George Michael e David Bowie; questi erano 3 mostri sacri per me, ma i Cranberries no, sono sincero, non lo erano. 
Non li consideravo tali, ed ultimamente non li ascoltavo neanche così spesso. Eppure devono aver lasciato nelle loro note, in qualche modo, un segno indelebile:forse perchè al loro periodo d'oro sono collegati molti ricordi piacevoli dei miei anni universitari, o semplicemente perchè, se alcune canzoni ti entrano nel cuore, anche se non le risenti spesso restano in vita lì dentro, da qualche parte. Il secondo motivo? è molto più semplice e lineare:ho voluto cogliere l'occasione per dedicare una sorta di tributo a Dolores ed ai Cranberries tutti, che con una manciata di dischi ed alcuni pezzi immortali sono entrati, di diritto, nella colonna sonora della mia generazione e di quella venuta subito dopo; perchè è impossibile che chiunque ami o abbia amato un pò il rock, un giorno di circa 20 anni fa non si sia ritrovato tra le mani quel cd intitolato "No need to argue", capolavoro del 1994 contenente l'indimenticabile "Zombie".
Proprio da qui inizia questa playlist, perchè anche per il sottoscritto il punto di partenza è stato quel brano; e mi piace ricordare quando e come lo scoprii, il mio personalissimo misunderstanding iniziale sul suo significato, e l'immediato amore per quella struttura semplice, quasi scolastica, impreziosita da quella voce così particolare. Quando tutto ciò avvenne, i Cranberries qui in Italia non erano ancora nessuno; divennero famosi nel giro di pochi mesi, e su questo, già allora, non avevo dubbi.
E allora, tirando un sospiro mi faccio coraggio, perchè ci attende un suggestivo flashback negli anni 90; vi racconterò cosa suonerei se dovessi scegliere 5 brani del gruppo di origine irlandese:nonostante l'atmosfera al momento sia divisa tra tristezza ed incredulità, sarà comunque bello ricordare alcuni passaggi salienti della loro carriera attraverso poche, ma sentite, righe.

1 - ZOMBIE
Era gennaio anche allora. 1994, cioè la bellezza di 24 anni fa. All'epoca, MTV era il canale di riferimento per chi adorava la musica, Napster e gli mp3 ancora non esistevano, ed era ancora permesso il noleggio dei cd. Avevo tra le mani una raccolta di hit da classifica inglesi, che esce ancora oggi:si chiama "Now that's what I call music". L'ultima traccia del doppio cd era "Zombie", firmato "The Cranberries", gruppo a me sconosciuto, e non solo a me, ma un pò a tutta l'Italia. In UK già andavano forte, perchè i cd della serie "Now" contengono solo pezzi entrati nella top 10 inglese. Quando ascoltai il brano, rimasi subito affascinato dallo stile sonoro:una sorta di brit-rock, decisamente più pesante e di chiara ispirazione grunge, per questo più vicino all'hard che al pop; per di più, interpretato - in modo esemplare ed originalissimo - da una donna (!).
Basandomi solo sul titolo, senza prestare attenzione al testo ed a quello che cantava la O'Riordan, mi ero convinto che fosse una qualche canzone a sfondo horror, o magari tratta da qualche film nello stile di George A.Romero. Mi chiesi come fosse possibile che questi Cranberries ancora fossero pressochè sconosciuti, perchè "Zombie" aveva un potenziale enorme; anzi, spaccava di brutto. "Sarà un successo", dissi tra me e me. E mentre per la prima impressione sul significato della canzone presi una toppa clamorosa, per quel che riguarda il mio orecchio sentii fin troppo bene:nell'arco di pochi mesi, "Zombie" suonava praticamente ovunque e "No need to argue", il cd da cui era tratta, iniziò a salire prepotentemente nelle classifiche di tutta Europa, Italia compresa.
Il pezzo di per sè ha una struttura molto semplice:si apre con un arpeggio acustico, doppiato dopo 4/4 dalla batteria e da una chitarra elettrica potente e decisa. Nel momento in cui il furore chitarristico si placa, entra la voce di Dolores che caratterizza l'intero brano a tal punto da trasformarlo in qualcosa di unico, mai sentito. E' un grido di rabbia, di dolore, con chiaro riferimento ai conflitti che all'epoca caratterizzavano l'Irlanda del Nord, anche se la stessa O'Riordan sottolineò in un'intervista che in realtà l'idea sul testo venne di getto, con un pensiero ben preciso: "Zombie fu scritta nello stesso periodo della bomba di Warrington nel Regno Unito. Non riguarda veramente l'Irlanda del Nord. Riguarda un bambino che è morto per colpa della situazione dell'Irlanda del Nord".
Nel testo si denuncia la crudeltà della violenza verso persone innocenti, e gli zombie sono coloro che attuano questa violenza rispondendo ai comandi provenienti dall'alto, senza neanche essere consapevoli del dolore che una madre può provare quando la vita di un figlio innocente viene spezzata:"Another mother's breaking
heart is taking over, when the violence causes silence we must be mistaken". L'accusa va giù con parole taglienti e pesanti come macigni nello stomaco:"It's the same old theme since nineteen-sixteen in your head, in your head, they're still fighting. With their tanks, and their bombs, and their bombs, and their guns, in your head, in your head, they are dying...". Il termine "nineteen-sixteen" è una data, il 1916, e fa chiaro riferimento all'Easter Rising - la rivolta di Pasqua - avvenuta quell'anno in Irlanda, in cui militanti repubblicani si ribellarono al fine di ottenere l'indipendenza dal Regno Unito. Fu la prima volta in cui vennero usati dei carri armati ("with their tanks") e sebbene la rivolta costituì un fallimento dopo pochi giorni, viene ancora oggi considerata una pietra miliare per la futura creazione dell'attuale Repubblica d'Irlanda. "Zombie" è uno di quei rari casi in cui si riesce a portare in cima alle classifiche un brano smaccatamente commerciale ma di grande qualità, per di più con un messaggio politico di denuncia.
Da qui in poi, la storia dei Cranberries cambia, e "No need to argue" li proietta definitivamente nell'olimpo delle rock band che contano.

2 - PROMISES
Uscita nel 1999 come singolo di lancio del quarto album del gruppo, "Bury the hatchet", "Promises" è un pezzo tirato, parente diretto di "Zombie", ma molto più ritmato e per certi versi anche più rabbioso, nonostante il tema trattato sia molto più leggero di quello del suo predecessore. Qui, infatti, si parla di un rapporto di coppia logorato da un'infinità di promesse mancate e di parole gettate al vento ("Oh, all the promises we made, all the meaningless and empty words I prayed, prayed, prayed..."). E' una donna che riversa tutto il veleno verso il suo uomo, e la rottura descritta è definitiva; l'unica via di uscita è andarsene:"She's going to leave him over, she's gonna take her love away. So much for your eternal vows, well it does not matter anyway...". Ancora una volta, è l'interpretazione vocale di Dolores O'Riordan a fare la differenza, ed a rendere "Promises" un pezzo di grande rilievo:l'artista irlandese ha una tonalità che può essere tanto dolce nelle ballads, quanto capace di graffiare in un ambiente rock, sinonimo di versatilità e capacità poco comuni. 
Il video, originalissimo, mostra un duello tra un cowboy ed una strega/spaventapasseri, dona all'impianto sonoro un tocco gotico che non guasta ed anzi, offre ulteriori chiavi di lettura. 
C'è stato un periodo in cui non c'era compilation in cui non inserissi questo brano; è legato ai miei anni di studi universitari, e mi ricorda una storia sentimentale che ho vissuto all'epoca. 
Il clip veniva trasmesso a ripetizione su MTV, e resta scolpito nella mia memoria come colonna sonora di quel periodo piacevole. Oggi come allora, posso solo constatare la longevità di questa canzone per le mie orecchie:perchè spesso la vado a ripescare, con la consapevolezza di poter rivivere quei momenti con un sorriso e tanta, tanta malinconia.

3 - SHATTERED
Ecco la prova che la voce di Dolores sa anche esprimersi magnificamente, con delicatezza e pathos, in un lento acustico. "Shattered" è ancora una volta un racconto amaro che nasce dalla delusione di una relazione sentimentale che sta per finire, dalle debolezze del proprio compagno, dalle bugie che tornano a far capolino nella coppia:"And I'm not very fond of you, and your lies...Shattered by your weaknesses, shattered by your smile". Stavolta l'effetto è lacerante, non agguerrito come in "Promises", a tal punto che è lo sconforto a prendere il sopravvento, e le cose che un tempo sembravano importanti adesso sono prive di significato ("And all the things that seemed once to be
so important to me, seem so trivial now that I can see..."). "Shattered" è un gioellino incastonato nel bel mezzo di "Bury the hatchet", album di ottimo livello, inferiore solo a "No need to argue". Pur non essendo mai uscita come singolo, e per questo priva di video promozionale, resta una delle canzoni più apprezzate dai fans dei Cranberries, a dimostrazione che un buon disco non si costruisce solo su dei brani di punta:è l'insieme che fa la differenza, e spesso sono le seconde linee a decretarne il successo.

4 - EVERYTHING I SAID
Quando finalmente riuscii a comprare "No need to argue", oltre che su "Zombie" la mia attenzione si focalizzò suill'iniziale "Ode to my family". Amavo la semplicità di quel brano, che avvolgeva le orecchie, delicato come una piuma. Era piazzato non a caso come prima traccia:scelta un pò anticonvenzionale, che però funzionava alla grande. Ad entrarmi nelle viscere, a provocarmi brividi sulla schiena ed a farmi sognare ad occhi aperti, però, fu "Everything I said". E' uno degli episodi minori del disco, ma signori:è un gran pezzo, andatela a ripescare se non ve la ricordate! Qui la voce di Dolores è struggente, commuove e ti stravolge l'anima; lo snodo di questo coacervo di emozioni è nel pezzo in cui intona queste parole:"But you have a heart,don't believe it, and you will find it, waitin' on... Everything I said, oh, well I meant it, and inside my head holdin' on...". Ho perso il conto di quante volte ho ascoltato e riascoltato questa ballad, tanto essenziale quanto incisiva; tutte le volte, l'effetto è stato lo stesso. 
E' anche la prima canzone che mi sono precipitato a recuperare dal mio archivio dopo aver saputo della scomparsa dell'artista irlandese. Ve lo garantisco...nonostante in 30 anni abbia ascoltato musica di tutti i generi, non ho nessun dubbio ad affermare che sono ben pochi i brani con una struttura così scarna e diretta capaci di raggiungere questo climax.

5 - RUPTURE
Vince il ballotaggio per la quinta selezione della mia playlist, un inedito dell'ultima raccolta acustica pubblicata dai Cranberries appena un anno fa. "Rupture" è un altro pezzo semplicissimo, dal testo ripetitivo e privo di originalità ("Maybe maybe, maybe maybe someone...Maybe maybe, maybe maybe something..."). In un contesto del genere, si potrebbe pensare ad una nenia deprimente da saltare a piè pari. Eppure qui, ancor di più che in passato, la O'Riordan ti lascia paralizzato ad ascoltare, tutto d'un fiato e fino alla fine; dimostra di avere ancora una gran voce, ed una capacità pazzesca ed assolutamente unica di impreziosire l'ennesimo impianto acustico scarno ed elementare. Viene da pensare (mi perdonino i fratelli Hogan e Fergal Lawler, ovvero gli altri membri del gruppo) che i Cranberries senza Dolores sarebbero stati davvero poca cosa.
Ovvio poi, che in questi ultimi giorni la malinconia che pervade l'intero brano si è all'improvviso elevata all'ennesima potenza, e per questo probabilmente la mia scelta di inserirla in questa playlist è stata dettata da un discorso emozionale. Ma ci sta, perchè in fin dei conti sono passati diversi mesi dalla sua uscita, eppure ho continuato ad ascoltarla senza ancora essermene stancato.
L'album "Something else" offre la possibilità di ascoltare anche i classici della band in versione "soft" ed unplugged:fa strano risentire anche un pezzo come "Zombie" completamente spoglio, e personalmente non amo in modo particolare questo tipo di operazioni, sebbene le consideri interessanti. Il perchè è presto detto:alla resa dei conti, se si vuole sentire "Zombie" si va a riprendere, 10 volte su 10, la versione originale.  
E' pur vero che i Cranberries tornavano da un periodo piuttosto lungo di inattività, Dolores O'Riordan era rientrata da poco nel gruppo dopo aver tentato la carriera solista, ed il quartetto si stava rimettendo in moto anche con un tour; la presenza di materiale inedito avrebbe chiaramente portato in futuro alla pubblicazione di un nuovo album. 
Dubito che avremo a breve giro di posta questa possibilità:se ci sarà, il significato che gli daremo sarà inevitabilmente diverso.

Al solito la scelta non è stata per niente semplice. Trovo doveroso menzionare almeno altri 3 pezzi che costituiscono senza dubbio delle pietre miliari per molti amanti del gruppo irlandese e del rock in generale; "Ode to my family", di cui ho già parlato prima, ne è un chiaro esempio. Ma non posso fare a meno di ricordare "When you're gone", tratta da "To the faithful departed" (disco che ho purtroppo trascurato in questa sede); E' un classico lentone 
strappa-lacrime sui generis:indovinate per merito di chi. 
Terzo brano che ho dovuto escludere, mio malgrado, è "Just my imagination", anch'esso dal sapore malinconico:si ricordano i tempi passati, la gioventù ormai andata, quando tutto era più facile e si poteva vivere fuori dalla realtà:"There was a game we used to play, we would hit the town on friday night, stay in bed until Sunday...We used to be so free, we were living for the love we had, living not for reality...". I Cranberries, con una melodia ariosa e la solita maestrìa nel dare colore ad una proposta apparentemente scontata, donano un affresco dei pensieri che ci portiamo un pò tutti dentro, inserendosi con questo pezzo nel filone alla "Forever young" (Alphaville) o alla "High hopes" (Pink Floyd) per intenderci, ma con uno spirito più leggero e spensierato che amaro. 

C'è un racconto di Stephen King, tratto dalla raccolta "Incubi e deliri", che si intitola "E hanno una band dell'altro mondo" ("You know they got a hell of band"). Narra la storia di una coppia che durante un viaggio in macchina si perde, ed arriva in un paese dell'Oregon non segnato sulla mappa con l'improbabile nome di "Paradiso del Rock n' Roll". Le persone che vedono in giro sembrano in qualche modo familiari, e realizzano che la cameriera del ristorante è Janis Joplin, mentre per strada incontrano Buddy Holly, Roy Orbison e Jim Morrison. Quando tentano di lasciare la città, vengono fermati da un blocco stradale ed incontrano il sindaco Elvis Presley, il quale li informa che gli è vietato andarsene: non sono le sole persone 'normali' in città e, da ora in avanti, si uniranno al pubblico che ogni notte è obbligato ad assistere ai mega concerti che vengono proposti, e resteranno lì per sempre. 
Non credo nè in un inferno, nè in un paradiso, ma mi piace pensare che questa città esista, da qualche parte, nell'aldilà.
Ed è lì che un giorno vorrei andare. 
Lì, in quelle strade dove rieccheggiano le melodie che negli ultimi 30 anni ho scoperto, ho amato, ed ascoltato fino allo sfinimento. 
Lì dove ritroverei quella musica che ultimamente, in questa esistenza, si sta consumando come un castello di sabbia assalito dall'alta marea. 
Lì dove potrò riassaporare un live di Michael Jackson, rivedere all'opera anche Prince, Freddie Mercury, David Bowie e Kurt Cobain (solo per citarne alcuni), e scoprire il sapore di un John Lennon ispirato ed un Elvis in piena forma, pronto ad intonare una "Hound dog" scatenando la folla. 
Una selezione da sogno, alla quale mancava una voce come quella di Dolores O'Riordan:da oggi, in quel posto, nella scaletta di quel festival immortale, c'è anche lei.
Sì, lo dico forte e chiaro:avrei voluto parlare dei Cranberries in un altro momento.

(R.D.B.)

domenica 14 gennaio 2018

RECENSIONE:SUMMONING - WITH DOOM WE COME (2017)

SUMMONING - WITH DOOM WE COME (2017)
LABEL : NAPALM RECORDS
FORMAT : LIMITED EDITION 2xGREEN VINYLS
                   (NAPALM RECORDS EXCLUSIVE)




Dalle gelide lande alpine, nel cuore dell'inverno (ogni riferimento al titolo di uno dei lavori degli Immortal NON è casuale) ed in modo quasi del tutto inatteso, torniamo a parlare di metal estremo. Il motivo è un evento non di poco conto:il ritorno dei Summoning; il duo austriaco - i cui membri si celano sotto i nomi di Silenius e Protector - si ripresenta sul mercato discografico dopo anni di assenza dalle scene metal (5, per l'esattezza), proprio mentre nella mia mente i tempi di "Minas Morgul" (risalente al 1995 e primo vero disco dell'allora esordiente gruppo) sembravano ormai uno sbiadito ricordo; con quel lavoro conobbi i Summoning ed il loro stile molto particolare e ricercato, ma è con "Stronghold", il full-lenght del 1999, che la coppia di blacksters mi conquistò:ricordo di aver letteralmente consumato quel cd, ed ancora oggi è un piacere piazzarlo sul lettore e rivivere quelle atmosfere cupe ma allo stesso tempo epiche e maestose. 
Eh già, perchè proprio di questo si parla quando si citano i Summoning; sebbene le mani ( e le menti) al lavoro siano solo quelle di due persone, il loro impianto sonoro è di tutto da rispetto; Silenius e Protector fanno praticamente tutto da soli, in modo grezzo e diretto, per niente artefatto, da non sembrare neanche rifinito e rivisto prima di dare alle stampe, ed è forse proprio per questo che risulta più vero e affascinante. E cosa ancora più sorprendente, sin dal loro esordio non hanno cambiato di una virgola la loro proposta, che è diventata una sorta di "garanzia" per i loro aficionados.
Per quel che mi riguarda ammetto che, dopo "Stronghold" ed il successivo "Let the mortal heroes sing your fame", ho perso completamente perso di vista i Summoning per un bel pò. I lavori del 2006 e del 2013 ("Oath Bound" e "Old mornings dawn") sono sconosciuti alle mie orecchie; è una lacuna personale dovuta senza dubbio al mio allontanamento dalla scena metal; solo nell'ultimo biennio ho riscoperto l'amore per questa scena, sia rispolverando i vecchi lavori che mi fecero innamorare di questo genere, sia scovandone di nuovi. Ed è così che, all'improvviso, girando per i vari siti a tema in cerca di news, ad ottobre mi sono imbattuto nella notizia del nuovo album dei Summoning in arrivo nei primissimi giorni di questo anno nuovo, accompagnata da un trailer di circa un minuto in cui si poteva ascoltare uno stralcio di un brano tratto dal lavoro. La scintilla che ne è derivata, ha lentamente dato il via al piccolo fuoco di attesa, che è diventato incendio dopo aver ascoltato altri segmenti dello stesso brano nei trailer successivi pubblicati dal canale Youtube della Napalm Records
Sicuramente la similitudine del fuoco, in una recensione di un disco black metal potrebbe sviare molti di voi:il rimando a Burzum ed a tutto il filone nordico di devastazioni di chiese, omicidi e tematiche a sfondo satanico di cui Mayhem, Satyricon e Darkthrone erano grnadi esponenti, potrebbe far pensare che anche qui si parli di un disco simile a quelle produzioni; ma fate bene attenzione:non è così. Non lo era allora, e non lo è neanche adesso, perchè la musica degli austriaci è sì, opprimente e ripetitiva in alcuni casi, ma ha una forte componente melodica, una struttura per niente scontata, ed un'andatura epica che nasce dai testi completamente basati sui lavori del grande J.R.R.Tolkien.
E' evidente, quindi, come il risultato sia affine a quel tipo di black metal solo dal punto di vista delle chitarre distorte e persistenti, ma con degli ingredienti totalmente differenti, che nel tempo hanno definito non solo uno stile originale, ma addirittura unico.
Questo nuovissimo lavoro si chiama "With doom we come", e non nego che la scelta di questo titolo mi abbia, da subito, ispirato: perchè starebbe bene in un qualsiasi manoscritto in antico germanico, e perchè esprime l'idea di un ritorno prepotente e leggendario. Il disco, come già anticipato, ricalca ciò che Silenius e Protector hanno sempre proposto:atmosfere essenziali, e chitarra sempre in secondo piano con un dominio, anzi un tripudio di tastiere e sintetizzatori; a tutto ciò, si vanno ad aggiungere poche linee vocali, ben delineate ma non sempre comprensibilissime, spesso accompagnate da inserti parlati che offrono un tocco più drammatico all'insieme.
E così, appena si è presentato l'occasione di dare nuovo vigore a questo incendio che si stava già espandendo nelle mie corde, non mi sono fatto pregare:dal sito della Napalm Records ho ordinato l'edizione in vinile colorato di questo "With doom we come", a scatola chiusa, senza avere idea di come sarebbe stato, ma con un'unica certezza:avrei ritrovato i Summoning di una volta.
Fedelissimi alla loro tradizione ormai ventennale, fatta di strutture minimal, ossessive e spesso ai limiti della litania, gli austriaci propongono pochi brani dalla durata complessiva piuttosto lunga; l'album si chiude poi con il brano principale, il cui minutaggio rappresenta quello di un suite vera e propria, che è in parole povere il "riassunto" dell'intera opera.
E', questo, un percorso, che mi fece andare fuori di testa con "Stronghold":il breve accenno tastieristico di "Rhun" (l'intro di quel disco) veniva poi ripreso nei minuti finali della conclusiva "A distant flame before the sun", rappresentando quasi una liberazione da quella nube grigia che il duo aveva dipinto per quasi un'ora, in una chiusura epica e magnificente. Qui, ad introdurci in questo nuovo capitolo ispirato dalla mitologia Tolkeniana, non c'è un intro che viene poi richiamato nel finale, ma il risultato non cambia; e quindi, la chiusura è ancora una volta ad effetto, ma l'opener 
"Tar-Calion" è il principio di fiamma che poi farà divampare il fuoco; il brano non presneta parti vocali in growl, ma solo alcuni interventi narrati che, abbinati al solito tappeto tastieristico ed alla drum machine, ricordano all'ascoltatore l'essenza scarna dello stile "Summoning", pomposo quanto vi pare, ma mai pacchiano nè poco credibile. Il tema principale questa volta è il "Silmarillion" di Tolkien, che, insieme ad altre opere dello stesso autore, forma una estesa (ed anche incompleta, ahimè) narrazione; è qui che Tolkien descrive l'universo di Ea, nel quale si trovano le terre di Valinor, Beleriand, Numenor e la Terra Di Mezzo, nell'ambito della quale si svolgono "Lo Hobbit" e "Il Signore degli Anelli". 
Tornando all'album, con la successiva ed imponente "Silvertine" si entra veramente nel vivo del lavoro, che cresce brano dopo brano:il disco è inframmezzato dalla strumentale "Barrows-Down", pezzo strumentale di circa 3 minuti, e raggiunge i picchi massimi con le splendide atmosfere di "Night fall behind" dove le tastiere si ergono a dominatrici dell'intero corpus sonoro, e nella particolarissima "Herumor":qui la batteria elettronica ha un incedere incalzante e continuo per tutti i suoi 7 minuti di vita, caratterizzato anche dalla presenza di cori che ne enfatizzano la drammaticità; c'è anche un pizzico di elettronica (mai invasiva) che si incastona alla perfezione con il sound del duo austriaco.
Ma è con la finale "With doom I come" che i Summoning offrono un affresco definitivo del loro lavoro, esattamente come hanno sempre fatto vent'anni or sono con il capolavoro "Stronghold" ed un pò in tutte le loro produzioni passate:sono 11 minuti ad alto tasso onirico ed evocativo, con il growl di Silenius che infila ossessivamente, fino alla fine, una serie di strofe da antologia:
"There once, and long and long ago
Before the sun and moon we know
Were lit to sail above the world
When first the shaggy woods unfurled

Death to light, to law, to love
Cursed be moon and stars and stars above
May darkness everlasting old
Drown Manwë, Varda and the shining sun

Death to light, to law, to love
Cursed be moon and stars and stars above
May darkness everlasting old
Drown Manwë, Varda and the shining sun...
"

Il pezzo presenta 2 inserti "acustici" che interrompono momentaneamente la tematica sonora di base, inseriti ad arte per rendere il risultato più frastagliato e per niente noioso; tutti quei minuti potrebbero far pensare ad una palla pazzesca, ed invece volano e spariscono senza che l'ascoltatore se ne accorga. Personalmente, credo che riuscire in un'impresa del genere nasconde dei grandissimi meriti da parte degli autori, e se dopo numerosi ascolti si continua ad andare a cercare questo brano mastodontico, vorrà dire che lascerà il segno nelle nostre playlist anche in futuro.
"With doom we come" è prodotto piuttosto maluccio, questo va detto; è una costante di tutti i lavori dei Summoning, che come già specificato sopra, tendono all'essenzialità e poco alla forma:ne consegue un sound sporco, scarno e molto povero,  dove spesso gli strumenti risultano impastati e poco limpidi all'ascolto.
E'questa, una peculiarità delle loro produzioni, e credo - anzi, ne sono sicuro - che sia anche voluta:Silenius e Protector vogliono che suoni così, sporco, brutto e rozzo. A tal riguardo, vorrei riprendere le parole di una recensione di Andrea Bosetti, pubblicata su una pagina del sito web  "Noisey" e di cui vi rimetto il link:

With Doom We Come - Recensione su Noisey di Andrea Bosetti

Bosetti analizza disco e storia dei Summoning in modo dissacrante, ma assolutamente efficace:
"Coerenza, dicevo prima. Perché nel 2017 i tre quarti dei batteristi del mondo black metal venderebbero la propria collezione di dischi per poter suonare la batteria su un disco dei Summoning, ma i Summoning un batterista non lo vogliono. Così come non vogliono dei campionamenti moderni, delle ritmiche accelerate, né qualsiasi cosa che possa rischiare di rendere il loro sound meno personale e distintivo.
Ricordo, all’epoca dell’uscita di "Oath Bound" un’intervista rilasciata alla defunta "Flash" (rivista musicale specializzata in metal, n.d.c.) in cui Protector raccontava di come, una volta terminato il lavoro su un nuovo album, partisse per una camminata sulle montagne in cui ascoltare in santa pace e assoluto isolamento il proprio operato prima di pubblicarlo, per poterlo valutare e riconsiderare a mente lucida. Da allora mi piace immaginare lui e Silenius lì, appollaiati su un cucuzzolo delle Alpi austriache, a contemplare dall’alto il mondo che cambia ai loro piedi e soprattutto la vastità del cazzo che gliene frega. Perché i Summoning continueranno a suonare esattamente come i Summoning anche dopo la Dagor Dagorarth ("Battaglia delle battaglie" o "Battaglia finale", evento immaginario creato da J.R.R.Tolkien per il suo "Silmarillion" - n.d.c.).".

"With doom we come" non è un disco per tutti, e può risultare ostico sia agli amanti del metal estremo (che non ne sopporterebbero gli inserti troppo melodiosi), sia ai metallers classici (che potrebbero trovare rivoltante l'uso di una drum machine). Figuriamoci un ascoltatore medio e poco avvezzo a chitarre distorte e growls vocali! 
Detto questo, i Summoning sono un'entità a sè stante, al di fuori di qualsiasi schema:offrono opere uniche nel loro genere, e quindi o si amano o si odiano. Questo disco, come tutti gli altri, va considerato nel suo insieme, perchè ogni singolo brano va vissuto ed analizzato con le proprie orecchie per coglierne le sfaccettature ed i dettagli che spesso ad un primo ascolto sfuggono. Avrete notato che, a differenza di altre volte, ho citato pochi titoli e ho preferito più chiacchierare che entrare nei dettagli; descrivere un disco dei Summoning è come analizzare gli alberi di una foresta dall'alto, ed a prima vista tutto vi può sembrare uguale, sia a livello cromatico che di insieme; ma non è così:se ci si addentra in quella foresta, quante sorprese e quanta vita ci si può trovare?
Vi garantisco che il solo scrivere di "With doom we come" mi ha fatto tornare la voglia di piazzare il disco sul piatto. Per chi volesse provare ad accostarsi ai Summoning, suggerisco tanta pazienza ed attenzione; non è semplice, ma vale la pena provarci. 
Perchè se vi entreranno nelle corde, non ne potrete fare più o meno.

VOTO : 8/10
BEST TRACKS : "WITH DOOM I COME", "NIGHT FALL BEHIND", "HERUMOR"