sabato 30 giugno 2018

LIVE IN CONCERT - PEARL JAM

PEARL JAM - WORLD JAM TOUR
STADIO OLIMPICO, ROMA 26/6/18 




L'occasione era troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire, ed andava colta al volo. 
Un pezzo - forse l'ultimo rimasto - di quel filone grunge che nei primi anni '90 ha travolto l'industria musicale, è atterrato a Roma in questo primo scorcio d'estate. 
E così, per una notte, i Pearl Jam hanno incantato il pubblico dello stadio Olimpico, andando al di là di ogni aspettativa e regalando ai presenti un evento davvero memorabile. E poco importa se, nei giorni precedenti allo spettacolo, ci eravamo preoccupati che potesse saltare tutto per la perdita di voce di Eddie Vedder, che aveva costretto il gruppo ad annullare la data di Londra. 
La voce di Vedder, a Roma, c'è stata, eccome.
Ne è passato di tempo dall'esplosione di "Ten" nel 1991, e sebbene l'aspetto fisico ne risenta inevitabilmente, i ragazzi di Seattle hanno ancora oggi la verve e l'energia che aveva caratterizzato i loro esordi live. Eddie Vedder non si agiterà più come prima sul palco, certo; ma non stupitevi se vi dico che un paio di salti (usando un amplificatore come trampolino) li ha comunque regalati; è vero che il tempo passa per tutti, ma se lo spirito resta lo stesso si percepisce sempre:il fuoco che si portano dentro gli artisti viene trasmesso al pubblico e la gente lo sente, reagisce, canta, muove le mani, partecipa:questa è stata la cornice che ha accompagnato i Pearl Jam qui a Roma.
La scaletta "monstre" di trentasei canzoni tra grandi classici, cover e chicche ha mandato in visibilio il pubblico romano, allietato anche da un Vedder che si è ostinato più volte a parlare in italiano (leggendo ciò che doveva dire su dei fogli che di volta in volta tirava fuori da chissà dove), rendendo il pubblico più partecipe, ed ancora più vicino alla band. 
Il momento clou? E' stato senza dubbio quando Eddie, per omaggiare Mike McReady si è incartato nel leggere la parola "chitarrista", sparando un "ma-vaffanculo!" in perfetto gergo italico.
Però, sappiate che tra aneddoti, racconti deliranti e discorsi che man mano che passavano i minuti erano sempre più biascicati (un pò tutti i membri del gruppo avevano a disposizione bottiglie di qualcosa che non era acqua, di certo), la protagonista di questa serata è stata lei, la musica. Una musica che nasce dal grunge, ma che si è distinta sin dall'inizio dai clichè del genere, ritagliandosi un'unicità tutta sua; ispirata al rock degli anni '70 (diversamente dai Nirvana che erano più punk, e dagli Alice In Chains che attingevano a mani basse dal metal), la proposta dei Pearl Jam è stata sempre originale, fresca, e per questo anche più longeva rispetto ad altre band. Se ancora oggi gli stadi si riempiono, e se tanti gruppi rock vengono ancora influenzati dalla band di Seattle, un motivo c'è.
In questo "World Jam Tour" non c'è quindi da aspettarsi giochi di luci, fuochi d'artificio o chissà quale altra diavoleria. La scenografia è fatta solo di buona musica, sano e sempiterno rock abilmente suonato ed interpretato da tutto il gruppo, affiatato più che mai.

Quando la notte su Roma è appena calata, il concerto parte quasi in sordina con "Release", che è un lento ed è una scelta curiosa per aprire; il perchè lo si capisce dopo:i Pearl Jam ti conquistano piano piano salendo di tono canzone dopo canzone. Passano la onnipresente "Elderly woman behind the counter in a small town" ed "Interstellar Overdrive", e nel frattempo l'atmosfera si è già bella che riscaldata, dando il via ad una catena di pezzi formidabile che inizia con "Corduroy", e prosegue con "Why go", "Do the evolution", la trascinante "Given to fly" e la storica "Even flow"; è una sequenza che vale già da sola metà del biglietto.
Non ci sono punti morti nè pause, il che è incredibile, quasi al limite dell'assurdo:i Pearl Jam iniziano a suonare alle 9 in punto, senza ritardi, e tirano avanti per tre ore di filato:un'impresa che ho visto fare a ben pochi, davvero strabiliante.
In "Wishlist" arriva un assolo fulminante di McReady, che squarcia la già calda atmosfera dello stadio, ma che è in realtà solo l'antipasto di quello che ci regalerà dopo. I pezzi scorrono uno dopo l'altro che è una bellezza, ed arriva "Immortality" che è un altro highlight eseguito alla perfezione, ed accolto dalle ovazioni del pubblico. C'è spazio anche per "Can't deny me", singolo che anticipa l'uscita di un nuovo album nei prossimi mesi, e per la cover di "Eruption" dei Van Halen. Immancabile - lo sospettavo - "Porch", che personalmente sopporto poco ma che (a quanto pare) nelle setlist dei Pearl Jam deve esserci sempre. Ho assistito tranquillo, con la presunzione che il meglio dovesse ancora arrivare, nonostante Vedder e soci avessero già inanellato più o meno una ventina di canzoni. 
E devo dire che non sono stato tradito.
La falsa uscita di scena (prevedibile) ha dato il via ai bis, che io oserei definire un secondo concerto. Perchè, signori, lasciatemelo dire:trovatemi un altro gruppo capace di regalarvi tredici (no, dico:tredici!) canzoni oltre alla scaletta originale.

Ed è qui, nel gran finale, che i Pearl Jam hanno spinto il piede sull'acceleratore all'impazzata; è qui che il concerto è diventato magico, e ha preso corpo, elevandosi ad evento.
"Sleeping by myself" e "Just breathe" hanno anticipato il momento più toccante della serata, quando Vedder ha chiesto  a tutti di accendere la torcia dei nostri smartphone:vedere uno stadio intero ricoperto di luci sulle note di "Imagine" è stato un momento davvero toccante, da pelle d'oca.
Da lì in poi, è stato un orgasmo continuo:"Daughter", "State of love and trust" (che è una perla risalente agli esordi, al film "Singles", e che non sempre viene riproposta dal vivo), fino ad arrivare a "Jeremy" accolta da un autentico boato, chiara reminiscenza di quell'album dei record che è stato "Ten".
Ancora una cover, stavolta con il batterista Matt Cameron al microfono (rarità assoluta:quanti batteristi avete visto cantare e suonare in contemporanea? io ne conosco solo due:Phil Collins e Don Henley degli Eagles...), che si cimenta sulle note di "Black diamond" dei Kiss e "Better man" chiudono il primo blocco di "regali" extra. Il secondo, porta in dote un altro momento di un'intensità disarmante:"Comfortably numb" dei Pink Floyd, interpretata in modo magistrale da tutta la band, e chiusa con un assolo divino da Mike McReady:in quel momento ho alzato gli occhi al cielo, e mi sono lasciato letteralmente trascinare dalla musica e da quell'atmosfera incantata, sublime, emozionante. Anche la successiva "Black", romantica e riflessiva nella sua oscurità, regala picchi di poesia da brividi, con un McReady scatenato a regalare l'ennesimo assolo sopra le righe, ed un Vedder mai stanco, con una voce pazzesca capace di spaziare dai toni bassi a quelli gridati con straordinaria incisività. "Rearviewmirror" (ah! quanto la aspettavo!) ed "Alive" (cantata per metà dal pubblico) preparano il terreno al pezzo finale, che è "Rockin'in a free world" (cover di Neil Young, con tanto di Vedder avvolto da una bandiera multicolore con scritto "Fuck Trump, Love Life"), a chiusura di una setlist a prova di bomba che non può non lasciare soddisfatti; peccato per l'assenza di "Once" e la cover di "Baba O'Riley" che l'avrebbero resa assolutamente perfetta, ma credo che riusciremo a farcene una ragione.
I Pearl Jam se ne vanno al termine di uno spettacolo dove hanno dato tutto, lanciando tamburelli al pubblico (Eddie Vedder, in realtà, alla fine regala anche la bottiglia da cui stava bevendo ad un fan), e lasciando nel pubblico la sensazione che, in una magica notte d'estate, a Roma, la musica (quella vera) ha preso davvero vita:sotto un cielo illuminato dalla luna piena, si è potuto assistere ad un concerto magnifico, carico, vero. 
Per una notte, il rock si è potuto toccare con le mani, si è posato sulla pelle, ha avvolto lo spirito e rinsaldato il cuore.



mercoledì 20 giugno 2018

NON PRENDIAMOCI IN GIRO:DISCHI DA EVITARE COME LA PESTE

NON PRENDIAMOCI IN GIRO:
DISCHI DA EVITARE COME LA PESTE

Ogni tanto, è necessario fermarsi e tirare le somme su ciò che viene immesso sul mercato, anche se si tratta di dover tirare fuori un post abbastanza diretto e senza peli sulla lingua, come già avvenuto in passato. Ecco, quindi, un nuovo appuntamento con le stroncature di Musical Maniak.
Premetto che per arrivare al punto di dover scrivere di certi dischi, di solito devo essere arrivato ad un livello tale di scazzamento nell'ascolto che le parole vengono fuori a fiumi, di getto; ed arrivano senza che mi sprechi più di tanto a documentarmi sul pregresso degli artisti in questione, sulla cronologia delle uscite discografiche precedenti, e sulla lavorazione dei loro album.
I miei giudizi si basano sull'ascolto, e ringraziamo il cielo che, come evincerete dal post, non abbia speso dei soldi preziosi per ritrovarmi in casa dei dischi che avrei rivenduto domani stesso.
Il mio modus-operandi è semplice:scarico (no, non mi vergogno a dirlo, e difficilmente compro a scatola chiusa), ascolto e se mi piace, compro. Se ho dei dubbi, riascolto più volte, metto da parte e poi, dopo qualche giorno, riprovo:a volte capita di rimanere perplessi su un disco, ma può sempre accendersi una scintilla all'improvviso, e il disco "parte", mi entra nelle corde e riesce a convincermi. Se, come è successo poco fa, non va e non c'è proprio niente (o quasi) da salvare, cestino.
Perchè, signori, permettetemi di dire ancora una volta che i nostri soldi, sudati mese dopo mese, sono preziosi e vanno ben spesi:è necessario avere sempre le idee ben chiare su cosa si va ad acquistare. Il mio giudizio rimane strettamente personale, sia chiaro:l'onestà intellettuale mi suggerisce sempre di spingervi a sentire con le proprie orecchie, valutare e poi decidere. 
Qualcuno forse vedrà in questi dischi degli autentici capolavori, e nel caso ciò avvenga, buon per lui. A mio parere, però, i due album  di cui vi parlerò oggi sono passibili di critiche, e neanche tanto velate; e si parla di due artisti già affermati, non esordienti. 
Sono un uomo e una donna, una cantante pop dalla voce soul ed un rapper arcinoto, idolatrato negli States.
Lei è niente di meno che Christina Aguilera, che torna dopo un lungo silenzio dalle scene con "Evolution", mentre il secondo artista ad essere sotto esame è Kanye West, che pur non avendomi mai entusiasmato, in un modo o nell'altro si è ritagliato un angolino di storia del rap degli ultimi anni. Il suo disco si chiama "Ye", è uscito a sorpresa senza annunci e strombazzamenti, eppure ha avuto la forza di andarsi a piazzare al primo posto della classifica di Billboard; ciò ha incuriosito non poco il sottoscritto, che ha (ovviamente) voluto ascoltarlo.
Preparatevi, perchè stavolta mi toccherò essere conciso, diretto, e vi preannuncio che tira aria di brutti voti e segnacci a penna rossa su queste due release.

CHRISTINA AGUILERA - LIBERATION (2018)
LABEL:RCA
FORMAT:DIGITAL DOWNLOAD

Dove eravamo rimasti? Facendo mente locale, ed aiutandomi con Wikipedia, l'ultima fatica della Aguilera prima di questo nuovissimo "Liberation" risale al 2012, cioè sei anni fa; il titolo del disco era "Lotus", ed il fatto che io sia dovuto ricorrere ad internet per rinfrescarmi la memoria, sottintende che a parte il singolo di lancio "Your body" (che era meritevole di attenzione, ma non un capolavoro), quel disco era tutto tranne che memorabile. 
Ebbene, dopo tutti questi anni uno si aspetta che Christina Aguilera torni a calcare le scene in modo deciso, magari riagganciandosi allo stile che ha contraddistinto i lavori di maggior successo della sua discografia, e con l'idea di tornare a valorizzare le sue ottime qualità vocali. Il singolo a cui è stato affidato il lancio del disco, "Accelerate", è un pezzo piuttosto strano (poco orecchiabile, anche) a cavallo tra R&B e hip-hop, che vede la partecipazione dei rapper Ty Dolla Sign e 2Chainz. La presenza dei due però non riesce a salvare la proposta, che si muove in un ambiente pericolosamente sperimentale, risultando piuttosto sciatta, inutile e priva di costrutto. Sono lontanissimi i tempi dei singoloni come "Dirrrty", "Hurt" e "Genie in a bottle":"Accelerate" sembra uno scarto bello e buono che faticherebbe, in un buon album pop, a ritagliarsi persino lo spazio per essere incluso come bonus track. Il secondo assaggio, "Fall in line", ospita un'altra voce femminile, quella di Demi Lovato; il risultato però non cambia di tanto:va senz'altro meglio di "Accelerate", perchè almeno è un pezzo più ascoltabile, ha un ritornello che cattura, e se non altro tiene l'ascoltatore impegnato a sentirlo fino alla fine. Da qui a dire che la canzone sia pienamente riuscita, però, ce ne vuole. Bisogna accontentarsi, di questi tempi; peccato che rimarrà una delle pochissime cose accettabili dell'intero disco, ed ora ne capiremo il perchè.
"Lasciate ogni speranza, voi ch'entrate" lesse Dante Alighieri di fronte alla porta dell'Inferno nel canto III della sua "Divina Commedia", e mai parole furono più indovinate per me mentre mi apprestavo a premere play sulla prima traccia di questo album. "Liberation" si apre con un intro di circa un minuto e mezzo dove si sentono voci di bambini (probabilmente i figli di Christina?), con un sottofondo pomposo di archi e pianoforte, molto toccante. 
Ora, un qualsiasi disco inizierebbe a macinare il primo vero brano, ed invece che ti fa la Aguilera? un secondo intro. La traccia due dura venti secondi e ti frega, perchè tu vedi un lavoro con quindici tracce, ma ne devi già scalare un paio.
"Searching for Maria" si volatilizza quasi subito, ed arriva "Maria", la prima vera canzone, finalmente.
L'emozione di sentire la voce di un Michael Jackson bambino intonare il ritornello di "Maria (you were the only one)", bellissimo pezzo soul tratto dal suo disco del 1972, "Got to be there", viene quasi subito soppiantata da un malumore generale che ti assale man mano che la canzone va avanti. Il perchè è presto detto:è un pezzo moscio, noioso, che la Aguilera canta così così, senza strafare e senza mai salire di tono. Peccato, perchè l'idea di andare a campionare un Michael Jackson d'annata meritava miglior sorte. Dal brano successivo in poi, il disco prende proprio una brutta piega:diventa, infatti, uno di quei mattoni R&B che io proprio non sopporto, infarcito di ballads e mid-tempo tutti uguali, sempre uguali, maledettamente uguali. 
Ma si può dare alle stampe un disco così? 
Voi non ne avete idea di quanti ne girino! 
Ti sparano nelle orecchie dieci/dodici canzoni una dopo l'altra fatte con lo stampino, senza sussulti, senza un pezzo veramente ritmato, o un qualcosa che smuova un pò quell'andatura pallosa che ti fa esclamare "che pizza!" dopo appena una manciata di minuti. E allora, entro appena nel dettaglio per descrivere le seguenti "Sick of sittin" (che fa un pò il verso alla Christina Aguilera di "Back to basics" senza incidere), "Dreamers" (che è un altro interludio con voci di bambini, cosa che a questo punto diventa stucchevole, oltre ad essere un'altra traccia rubata alla scaletta), "Right moves" (ritmo raggae piatto e lagnoso con tanto di ritornello monocorde), "Like I do", dal sapore tipico dell'R&B stantìo accennato sopra, che si ripete in "Deserve" e si perpetua in "Pipe" (vera e propria scimmiottatura dei ritmi tanto cari a R.Kelly). Neanche la ballad "Twice" riesce a risollevare le sorti di "Liberation", perchè non si può sperare che un lento riesca a smuovere un andazzo già statico e piuttosto deprimente. 
C'è spazio per un altro intermezzo (e fanno quattro, quindi i brani in totale si riducono a undici, altro che quindici come ti vogliono far credere), e si arriva alla traccia quattordici (!) per ascoltare un ritornello decente:"Masochist" ha quest'arma in più, strano ma vero:un refrain orecchiabile. Ma finisce lì, perchè il contorno è un arrangiamento privo di ritmo, lineare ma sempliciotto, che si trascina per tre minuti e mezzo. A chiudere il disco? Lo volete proprio sapere? una ballad, ovvio! "Unless I'm with you" è un lento per voce e pianoforte che neanche ho finito di ascoltare, tanto è stato il fracassamento di palle dopo l'ascolto di questo album sprizzante vita da tutti i pori. 

VOTO: 4/10
BEST TRACKS: "FALL IN LINE".



KANYE WEST - YE (2018)
LABEL:GOOD/DEF JAM
FORMAT:DIGITAL DOWNLOAD

Ad alto rischio "noia", oltre ai papocchi soul/R&B, ci sono anche gli album rap. In America, per esempio, vanno pazzi per i lavori di Drake. Io giro al largo, osservo il successo stratosferico che ottiene di volta in volta, ma con tutta la buona volontà non ce la faccio. E' una proposta, la sua, originale e quasi mai scontata, c'è da riconoscerlo, eppure non mi piace. Succede, e credo sia naturale. Però adoro 2Pac, ho diversi dischi di P.Diddy, Notorius B.I.G. e quasi tutti quelli di Eminem. Quelli sì, che sono grandi dischi rap. Di Kanye West ho ben poco, però nel passato ho apprezzato la splendida "Stronger" (nata da una collaborazione con i Daft Punk), la partecipazione a "No church in the wild" di Jay-Z ed al remix di "Hurricane", bellissimo brano dei Thirty Seconds To Mars, oltre a pezzi tutti suoi sparsi qui e lì ("Gold digger" tratta da "Late registration" e "Love lockdown" su tutti). "Ye" è uscito a sorpresa, ad inizio mese, ed è il secondo di cinque progetti prodotti da West a Jackson Hole, nel Wyoming, ed intitolati "Wyoming sessions", di cui farà parte anche il nuovo lavoro di Nas ("Nasir") in uscita a breve.
Ebbene, "Ye" è composto da sette brani (wow! quanta generosità!) per una durata complessiva di ventitre minuti. Per carità, se tu in così poche canzoni riesci a tirare fuori dei pezzi che spaccano, tanto di cappello; ma se il risultato generale non ci si avvicina neanche, la puzza di fregatura bella e buona è evidente."Ye", purtroppo, pende dalla parte sbagliata, e per fortuna dura poco: "I thought about killing you" apre il disco, con Kanye che parla - non canta - e va avanti così per quasi tre minuti lunghissimi, per poi accendersi improvvisamente con una ritmica martellante che sparisce all'improvviso. Quando finisce rimani interdetto a chiederti "cosa diavolo ho sentito?". Ma il bello deve ancora arrivare:"Ykes" qualcosina di buono la tira fuori, più che altro perchè il campionamento nella sua ripetitività è piacevole, c'è un accenno di melodia, e West si lascia andare poco ad esperimenti vocali ed aritmici con le strofe. Ma anche questa non lascia il segno, ed anzi assume i connotati di una minestra riscaldata difficilmente digeribile. "All mine" ha un buon intro di organo, che gli dona un tono mistico:sparisce all'improvviso dopo pochi secondi (giustamente, gli spunti validi vanno accantonati subito, non sia mai che diano forma a chissà quale capolavoro), lasciando spazio ad una base minimal in cui West spesso canta a cappella ed in falsetto. Una cosa piuttosto difficile da ascoltare, ve lo garantisco:bisogna armarsi di santa pazienza, e sforzarsi. Tanto. 
"Wouldn't leave" è un pochino più vestito di arrangiamenti, e per questo sembra partire meglio, ma si perde velocemente per strada senza lasciare neanche una briciola nella memoria di chi ascolta. Arriva, quindi, "No mistakes", che movimenta solo apparentemente un'atmosfera soporifera, da sbadiglio continuo, mentre in "Ghost town" Kanye West tira fuori davvero il peggio di sè:cambia più volte tonalità nelle strofe, a volte mugugnando, a volte stonando grossolanamente:lo chiameranno "pezzo sperimentale", ma un esempio di papocchio così inascoltabile non lo ricordavo da anni. 
E così mentre le orecchie invocano pietà, si è già arrivati alla fine con "Violent crimes", che si apre con la voce di Nicki Minaj (grazie al cielo, qualcosa di ascoltabile) che si dipana su un tappeto di tastiere niente male. Tappeto che accompagna strofa dopo strofa anche West, e si ripete in continuazione in un pezzo totalmente privo di mordente, molle, che diventa tremendamete monotono.
Riuscire nell'impresa di farmi buttare un album per intero nel cestino del pc non è da tutti. Kanye West con "Ye" ci è riuscito e, per fortuna, ed almeno per quanto mi riguarda, questo suo nuovo lavoro (al pari di quella della Aguilera) rimarrà tranquillamente sugli scaffali del negozio di dischi dove ciclicamente mi rifornisco.

VOTO : 3/10
BEST TRACKS: Nessuna.

Riallacciandomi al discorso sulla musica R&B che ho accennato prima, vorrei che fosse chiaro che io amo questo genere esattamente alla stessa maniera di tutti gli altri che ascolto più spesso (pop e metal). Ciò che trovo insopportabile, è come spesso in quest'ambito ci si imbatta in autentici papponi difficilmente digeribili, dove la stessa ritmica (con gli stessi arrangiamenti) viene ripetuta fino allo sfinimento.
Potrei citare una dozzina di nomi altisonanti che sono inciampati in produzioni del genere, ed i primi che mi vengono in mente sono Mariah Carey e Mary J.Blige. Se volete un quadro più chiaro di ciò che intendo, prendete gli ultimi album delle rispettive artiste ed ascoltateli.
E' palese come, oggi, creare una ballad soul sia chiaramente difficile se non si esce da certi schemi preimpostati:il rischio di risultare stucchevole è altissimo. E la frequenza con cui mi sono imbattuto in lavori di questo tipo, è aumentata a dismisura con il passare degli anni.
Per quel che riguarda il rap, pure lì c'è poco da inventarsi; eppure Jay Z nel bene o nel male riesce sempre a fare qualcosa di buono, mentre Eminem tra alti e bassi è ancora capace di proporre pezzi rilevanti, innovativi ed al tempo stesso accattivanti, melodici, canticchiabili. Un buon campionamento è un ottimo punto di partenza, anche se interpretare i testi strofa per strofa rimarrà sempre un esercizio difficilissimo per chi non è americano (figuriamoci per un italiano!); ma la melodia (questa chimera) è necessaria, sempre, e non se ne può fare a meno:perchè la base può essere interessante, orecchiabile quanto vi pare, ma se sopra ci si sparano rime a mo' di mitraglia senza mai sputare beh, signori, la noia (brutta bestia, per chi dedica tempo alla musica) è sempre dietro l'angolo.





venerdì 8 giugno 2018

TRACK BY TRACK:GHOST - PREQUELLE (2018)

TRACK BY TRACK:
GHOST - PREQUELLE (2018)
LABEL : LOMA VISTA/SPINEFARM
FORMAT : MULTI COLOUR VINYLS, DELUXE CD




Da diversi mesi giravano voci sul nuovo lavoro dei Ghost, ed i fans della band svedese sapevano che questo sarebbe stato un periodo caldo; dal precedente disco "Meliora" (esteso poi dall'uscita dell'E.P. "Popestar") di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia:i vecchi Nameless ghouls (i membri mascherati del gruppo) sono stati rimpiazzati da cima a fondo, a causa di un dissidio legale con il frontman e deus ex-machina dell'intero progetto, Tobias Forge; l'uomo che si celava dietro la maschera di Papa Emeritus I, II e III ha quindi dovuto rendere nota la sua identità, lasciando cadere parte di quell'alone di mistero che la band si portava dietro sin dagli esordi. "Meliora" ha portato in dote un Grammy Award (sì, avete letto bene, come miglior canzone rock dell'anno per "Cirice"), e "Square hammer", singolo orecchiabilissimo dall'enorme portata radiofonica, si è andato a piazzare al primo posto della classifica "Mainstream rock" di Billboard, amplificando ulteriormente l'attenzione verso la band.
Sul finire del 2017, in occasione dell'ultima tappa del tour di supporto a "Popestar", Papa Emeritus III con una trovata scenica è stato portato via dal palco per lasciare spazio all'ingresso di Papa Emeritus Zero (chiamato anche Papa Nihil), il capo dei papi, il burattinaio che manovrava in disparte i frontman (suoi figli, nella storyboard dei Ghost). "La festa è finita, il Medioevo comincia ora" sono state le parole con cui Papa Zero ha chiuso l'era in corso, aprendo di fatto, come consuetudine, alla nuova release ed al nuovo cambio di immagine di Forge.
Giungiamo quindi ad aprile, mese chiave per l'evoluzione e lo sviluppo del nuovo progetto; con tre corti della durata di circa un minuto e mezzo ciascuno, i Ghost introducono il nuovo leader impersonato da Forge, che stavolta non è un papa, ma semplicemente un cardinale. Il motivo di questo cambiamento si evince dai video, nel primo dei quali Papa Nihil è a colloquio con Sister Imperator (il cui mistico ruolo sembra ora quello di "braccio destro" del papa supremo); si viene a sapere che egli non ha più discendenti diretti, e che quindi c'è bisogno di presentare un nuovo soggetto a guida della band. Nonostante Papa Nihil sia riluttante ad accogliere nei Ghost un personaggio che non faccia parte della sua stirpe famigliare, Sister Imperator introduce tale Cardinal Copia, soggetto curioso e dissacrante, che credo abbia (almeno inizialmente) lasciato di stucco un pò tutti i fans dei Ghost. Emeritus Zero, seppur contrariato, lo benedice (o lo maledice?), dando il via libera alla successione di leader all'interno del gruppo (ma non all'elezione del cardinale a papa, cosa che pare dovrà meritarsi sul campo tra qualche lustro).
Nel terzo ed ultimo trailer, vediamo come i tre papi precedenti vengano uccisi, truccati, vestiti e riposti in bare di vetro per essere trasportati e mostrati in tour, tappa dopo tappa, a tutti i fans (!).
Il quarto ed ultimo (fin'ora) step visivo del nuovo progetto della band è stato quindi il video di "Rats", in cui in una città devastata dall'epidemia di peste, un sorprendente Cardinal Copia si lascia trasportare da una "danza macabra" tanto assurda quanto sinistra, in un clip spettacolare che ha riscosso all'unanimità pareri favorevoli.


Facciamo un bel salto nel passato per inquadrare "Prequelle" e spiegare anche l'ambientazione del clip di "Rats":l'intero album, infatti, trae spunto dalla peste nera che imperversò in tutta Europa tra il 1347 ed il 1352, uccidendo un terzo della popolazione del continente. Le strade erano ricoperte di corpi decomposti, mentre l'odore di morte e devastazione  aleggiava nell'aria. Chiedetevi questo:come vi sarebbe sembrato tutto ciò se ci aveste aggiunto della musica? Cardinal Copia, che ora non solo porta il peso sulle sue spalle dell'intera "chiesa", ma deve anche fare i conti con l'ingombrante eredità lasciatagli dai suoi predecessori, racconta le sue osservazioni in questo mondo devastato, dove c'è spazio per la speranza di una nuova prospettiva di vita; una vita che, come scopriremo, ha tante possibilità di essere eterna, nonostante molte persone siano tormentate e sul punto di morte, vittime di roditori veicolanti la malattia.
"Prequelle" è da tre giorni sugli scaffali dei negozi di dischi, ed i risultati sono già sotto gli occhi di tutti:primo in più di 10 paesi nelle classifiche di Itunes, mentre le proiezioni di vendite fisiche lo vedono addirittura come pretendente al trono della Billboard Top 200. Un risultato eccezionale per un album metal, roba che non avveniva da anni, se non da decenni. 


Spinto a breve giro di posta anche dal secondo singolo "Dance macabre", "Prequelle" è un album composto da dieci tracce (più due bonus tracks per le edizioni deluxe) che marcano una notevole evoluzione nel sound dei Ghost, rendendolo ancora più accessibile al grande pubblico rispetto al passato, senza per forza snaturare quel che di buono Tobias Forge e i suoi Nameless ghouls hanno già proposto in campo hard rock ed heavy metal.
Con una copertina meravigliosa, magnificente, dagli svariati significati (a partire da quel trono papale occupato dal cardinale, dalla grigia devastazione che invade il paesaggio, l'enorme bestia dai denti affilati che nella sua bocca lascia intravedere quel che resta della cattedrale raffigurata nella copertina di "Meliora" ormai in fiamme, fino ad arrivare alle tre croci piantate nel terreno a ricordare i papi ormai sepolti), Cardinal Copia non solo ci racconta della peste nera, ma ci introduce alla leggenda delle danze macabre, secondo la quale intorno agli umani ballavano gli scheletri, la cui funzione era quella di ricordare come la morte sia ineluttabile e colpisca tutti senza esclusioni di alcun genere; tutto ciò viene poi abilmente legato con un filo stretto a quell'evento bizzarro accaduto nel 1518 a Strasburgo, e denominato "febbre del ballo", un'isteria di massa le cui cause restano tutt'ora ignote, che vide quattrocento persone ballare senza sosta per le strade fino allo sfinimento ed alla morte (da qui, il cardinale ballerino nel video di "Rats"), ed accostata anch'essa ad un'altra pandemia di peste.
Il "Tracy-by-track" stavolta è dunque tutto in onore dei Ghost:non c'è bisogno di dire quanto sia rischioso esprimere un giudizio su due piedi riguardo ad un album che è appena al suo secondo ascolto completo; con una recensione di questo tipo, ho già "bastonato" dei veri e propri mostri sacri (anche se, tirando le somme, le mie orecchie non hanno tradito:le stroncature erano meritate).
Vediamo se "Prequelle" saprà uscire illeso dal giudizio universale del terzo ascolto, e se sarà capace di alzare il tiro a tal punto da ottenere anche un ottimo voto.

1 - ASHES
Fa da battistrada al nuovo album dei Ghost questa intro di un minuto scarso, che avevamo già avuto modo di ascoltare in uno dei trailer del colloquio tra Papa Zero e Sister Imperator. E' un coro di bambini, che intonano la filastrocca "Ring a ring o'Rosie", le cui origini risalgono alla Londra del '600 - anch'essa devastata dalla peste - e che veniva cantata dalle infermiere negli ospedali come ninna-nanna per i bambini. E' un inizio piuttosto inquietante, perfetto per trasportarci in un ambiente malsano, distorto, devastato.
 

2 - RATS
Perfettamente in bilico tra hard-rock ottantiano e pop, "Rats" è quanto di meglio poteva essere proposto come singolo di lancio:perchè è perfettamente in linea con le produzioni più recenti targate Ghost, e perchè è maledettamente orecchiabile senza mai essere scontato. La struttura del brano, pur nella sua semplicità, è dilatata da un pre-coro ipnotico che è più accattivante del ritornello stesso, che lascia un segno indelebile dal secondo passaggio in poi, quando la voce del Cardinal Copia invocante la parola "Rats!" viene doppiata da un "aoohwww uaaahhh" che si stampa in testa in modo così prepotente da non andare più via. L'assolo di chitarra che precede quello che sembra il passaggio finale richiama le sonorità di "Meliora" e di "Square hammer", e quando la canzone sembra volgere al termine, arriva il colpo di genio:un giro di tastiera simile al clavicembalo si trasforma in un riff chitarristico pesante e davvero trascinante. 
E' come se un pezzo dei Kiss divenisse improvvisamente un brano dei Judas Priest vecchia maniera, imponente e capace di "spaccare" al punto giusto.
Il capolavoro di Forge e dei Nameless ghouls sta nel rimanere perfettamente in bilico tra melodia e rock, tra commerciale e metallaro:cosa che non scontenta nessuno ed anzi, avvicina ancora più gente alla loro musica; del resto, l'obiettivo di "Prequelle" è esattamente questo:espandere il "verbo" sottilmente satanico della band per arrivare alle masse. Il testo narra della devastazione che la piaga della peste sta portando nel mondo, veicolata dai ratti, "sporchi roditori in cerca ancora delle vostre anime" ("them filthy rodents are still coming for your souls..."). E' evidente il parallelo con il mondo attuale, in pieno declino su diversi piani, dove i ratti sono le figure destabilizzanti delle società e dei rapporti socio-politici. E', insomma, una canzone interpretabile, sebbene il tema principale sia chiaramente ispirato alla peste nera, e richiami in più di un passaggio i temi cari al classico songwriting di sottile stampo satanico dei Ghost:"Into your sanctum you let them in, now all your loved one and all your kin will suffer punishments beneath the wrath of God...Never to forgive, never to forgive...".
Del video ho già parlato:diretto da Roboshobo (già autore del clip di "Square hammer" e di video per i Metallica e My Chemical Romance per citarne un paio), è una produzione di alto spessore che viene riservata solo ad una band sulla cresta dell'onda, di forte richiamo:ed ora, i Ghost, lo sono a tutti gli effetti.

3 - FAITH
"Faith" sembra uscita direttamente dall'album d'esordio "Opus eponymous", ed è forse il brano del disco che più richiama il passato e le caratteristiche dello stile dei Ghost prima maniera. 
Il riff di chitarra è possente e deciso sin dalle prime battute, e sarà senz'altro apprezzato dai fans di lunga data, orfani dei tre Papa Emeritus.
Il richiamo alle classiche "From the pinnacle to the pit" e "Per aspera ad inferi" è evidente; ma mentre nel passato si badava di più a picchiare duro con chitarre e batteria, oggi l'idea di base è il voler mantenere sempre e comunque una componente rilevante di melodia. L'esplosione eterea verso la metà del brano che si apre allo splendido assolo chitarristico è, però, solo uno specchietto per le allodole:in un attimo il tono torna cupo e minaccioso, per poi riprendere il leit-motiv che porta alla chiusura. Ecco così confezionato un altro pezzo tipico del repertorio papale, meritevole di essere inserito in qualsiasi playlist a tema.

4 - SEE THE LIGHT
Più dei ritornelli e degli assoli, ciò che colpisce maggiormente in "Prequelle" sono le strofe:perchè sono costruite in modo splendidamente cristallino, e diventano talmente immediate da risultare più caratterizzanti dei refrain stessi. "See the light" ne è un chiaro esempio:bastano dieci secondi di canzone per intuire che  il brano sarà vincente, ovunque vada a parare. Parte in sordina, ti cattura, e poi lascia esplodere batteria e chitarre, che quasi inaspettatamente invadono il soffice terreno su cui era partito. Le parole hanno un forte senso autobiografico, mascherato solo in parte dal disagio della pandemia pestifera che viene ampiamente disquisito all'interno del disco; in realtà qui Tobias Forge si rivolge ai vecchi Nameless ghouls che l'hanno trascinato in tribunale, prima ammettendo di aver anche commesso degli sbagli ("Many a sin I have witnessed and in many indeed I have been..."), per poi scagliarcisi contro, assicurando che più viene alimentato odio nei suoi confronti, più egli diventa forte ("Every day that you feed me with hate I grow stronger...").
"See the lights" è un altro grande episodio perfettamente riuscito, che indirizza "Prequelle" verso un risultato prevedibilmente positivo.

5 - MIASMA
Altra caratteristica di ogni album dei Ghost è la presenza di uno/due pezzi strumentali. "Prequelle" rispetta questo clichè con due tracce, la prima delle quali è questa "Miasma", un concentrato di sonorità a cavallo tra il rock ed il prog degli anni settanta. Ascoltata in cuffia, questa cavalcata eseguita in modo impeccabile mette in evidenza molteplici sfaccettature, mai casuali nè posticce. Sbaglia chi etichetta pezzi di questa portata come dei filler; semmai sono una delle tante dimostrazioni che i Nameless ghouls (quelli vecchi come i nuovi) sono dei musicisti con i controfiocchi, e non semplicemente dei comprimari; ed è soprattutto in lavori del genere che, se mi permettete di dirlo, dimostrano di avere le palle.
"Miasma" cresce minuto dopo minuto, gli strumenti si susseguono e si sovrappongono fino all'intervento meraviglioso del sax sul finire (che offre lo spunto per la grandissima trovata scenica dal vivo di far salire sul palco Forge a suonarlo vestito e truccato da Papa Nihil, tra le ovazioni del pubblico).

6 - DANCE MACABRE
Lo stacco strumentale fa da spartiacque tra la prima parte del disco e la seconda, che si apre con il brano più immediato ed orecchiabile dell'intero lotto:"Dance macabre". Parliamoci chiaro:il presentimento di aver già sentito una melodia simile è fortissimo; ma l'impatto che ne nasce è devastante, fulmineo. 
E' bastato un ascolto per gridare al miracolo, perchè è palese quanto non servano troppi ricami, troppi archibugi o chissà quale invenzione per fare buona musica. "Dance macabre" non va studiata, ma va cantata a squarciagola agitando la testa e scuotendo le braccia. Ha la potenza di un brano catchy di Alice Cooper (ricordate "Poison"?), la consistenza del miglior Ozzy Osbourne ed il pop (sì il pop, non scandalizziamoci, suvvia) degli Abba (dicono molti), e di tutto ciò che è anni '80 (che in piena epoca revival, calza a pennello). Per questo citerei anche i Duran Duran, gli Europe, o chi vi pare a voi come ispirazione a questo pezzo; il risultato non cambia, perchè con il suo prevedibilissimo susseguirsi di "strofa/ritornello, strofa/ritornello, assolo/ritornello" ha un incedere tanto lineare quanto efficace. Ciò che colpisce è anche la capacità di trasmettere una leggerezza quasi gioiosa all'ascolto, nonostante la canzone sia incentrata su una morte imminente. Il testo è infatti una dichiarazione di amore di una persona in fin di vita che vuole condividere con la sua metà un'ultima danza frenetica, al chiaro di luna, prima che arrivi il momento di pronunciare gli ultimi voti:
"It keeps on giving me chills but I know now I feel the closer we get to the last vow, I don’t wanna end like this but the sting in the way you kiss me (I'm loving it), something within your eyes said it could be the last time before it's over! Just wanna be...wanna bewitch you in the moonlight...". "Bewitch you" ("ammaliarti", "stregarti"), e non "Be with you" ("stare con te"), come avrebbe potuto suonare un pezzo banale e prevedibile:vedete, a volte l'originalità  è anche in piccolissime sfumature che fanno la differenza. 
Il relativo video di accompagnamento a questo che è il secondo singolo tratto dall'album, in realtà è una "Instagram story", e che non vede i Ghost protagonisti, ma gente del calibro di Kirk Hammett (Metallica), Phil Anselmo (Pantera), Charlie Benante (Anthrax), Matt Shadows (Avenged Sevenfold) ed altri personaggi famosi del mondo della musica e dello sport, intenti ad ascoltare "Dance macabre":le reazioni sono disparate (ed ovviamente gasatissime), ma sentire Philip Anselmo al termine del brano dire "huge song" ("grande canzone") in modo convinto, lascia intuire quanto i Ghost stiano facendo di buono, anche (e soprattutto) in campo metal.

7 - PRO MEMORIA
Un assaggio di "Pro memoria" ci era già stato concesso con il terzo "short-film", uscito un mese e mezzo prima di "Prequelle"; è quello in cui vediamo la macabra fine che fanno i tre papi che si sono succeduti alla guida del gruppo prima che arrivasse Cardinal Copia. La sorpresa per chi ha avuto modo di vedere questi tre corti, è quella di ritrovare in apertura il pezzo orchestrale che ha fatto conoscere il cardinale al mondo intero, ed ha accompagnato il suo ingresso all'incontro con Papa Zero e Sister Imperator. E' stato, quello, il momento "storico" per tutti i fans dei Ghost in cui è stato rimosso il velo di mistero sul nuovo frontman impersonato da Tobias Forge.
"Pro memoria" è esattamente quello che "He is" era per il disco precedente, "Meliora":un lento evocativo e carico di pathos, incentrato sul tema della morte e della perdita delle persone a noi care:"Don't you forget about dying, don't you forget about your friend death, don't you forget that you will die...". Musicalmente costruita in modo magistrale, la melodia parte in sordina, riflessiva ed evocativa, guidata da un semplicissimo rintocco di pianoforte, per poi crescere lentamente; la chiusura in crescendo, poi, tra cori ecclesiastici ed arrangiamenti orchestrali è ormai espressione tipica di certe proposte dei Ghost, teatrali e grandguignolesche.
Trovatemi un gruppo rock, con i tempi che corrono, capace di abbinare un tale dispiego di energie ad un pezzo vincente rimanendo credibile, inquietante ed allo stesso tempo mainstream; vi suggerisco di non perdere tempo nella ricerca:semplicemente, non esiste.

8 - WITCH IMAGE
Con un riff chitarristico d'impatto come in "Rats", ecco un altro highlight del disco, in cui l'indirizzo catchy di quasi tutto il lotto incontra ancora una volta lo stile classico della band svedese. 
Ne risulta un brano piacevole, arioso e di pregiata fattura. 
L'assolo doppiato a metà canzone lo impreziosisce ulteriormente, prima di riprendere il refrain, in cui la voce cristallina, vero e proprio marchio di fabbrica di Tobias Forge alias Cardinal Copia, si muove alla perfezione:"While you sleep in earthly delight
Someone's flesh is rotting tonight Like no other to you
What you've done you can not undo...
".

E' doveroso notare come, almeno nelle tematiche, i Ghost non si siano discostati più di tanto dal loro tipico gusto ironico e quasi grottesco per il macabro (se avete presente "Body and blood", uno dei pezzi di punta del loro secondo album "Infestissumam", capirete ciò che intendo). La componenete goliardica, del resto, è sempre stata presente all'interno della band, e gli aneddoti a sfondo horror nascosti nella rassicurante forma di favoletta sono diventati un pezzo forte della presenza scenica di Papa Emeritus III, e lo saranno senza dubbio anche per questo nuovo, diabolico "cardinale". Tornando a "Witch image", quindi, ci sembrerà normalissimo intonare gioiosi, nel bel mezzo di un concerto, che "mentre dormiamo in pace e serenità, il cervello di qualcuno stanotte sta marcendo".
  9 - HELVETESFONSTER
Secondo pezzo strumentale del disco, "Helvetesfonster" (in italiano, "finestra dell'inferno") presenta meno elementi prog rispetto a "Miasma", a favore di un chiaro sapore medievale, in alcuni passaggi oscuro ed angosciante, in altri suggestivo e malinconico. E' l'ennesima dimostrazione di quanto questo gruppo abbia da offrire in termini di classe ed originalità, perchè è grazie a pezzi come questi che si rimarca un chiaro segno di unicità. In quasi sei minuti si susseguono un insieme di emozioni lancinanti, dall'apertura rassicurante al primo segno di inquietudine dato dal basso, cupo e predominante che subentra dopo poche battute. La luce accecante della speranza è rappresentata dall'apertura melodica che precede un vero e proprio momento psichedelico ed euforico dalle forti tinte progressive; è appena un sussulto, che rientra quasi subito per spianare il terreno alla meravigliosa coda, ipnotica e tetra, che si ascolta col groppo in gola per quanto ti entra nelle vene e ti contorce le viscere, e che evapora con le campane che suonano "a morto".
Ogni volta che il brano arriva a questo punto (esattamente dopo 3'23'') mi viene la pelle d'oca. Non sono un grande estimatore dei pezzi strumentali, in genere li trovo noiosi e tendo a saltarli:con "Helvetesfonster" già so che non avrò mai il coraggio di passare al solco successivo senza prima passare da questo finale incredibilmente evocativo.
   
10 - LIFE ETERNAL
Chiude l'edizione standard del cd e del vinile la delicatissima "Life eternal". Il piano è ancora una volta la guida musicale sulla quale si sviluppa la melodia, che viene arricchita nella seconda strofa dall'ingresso della batteria e dell'organo. Dopo la devastazione e il caos raccontato nei passaggi precedenti, in un album il cui la morte si prende tutto senza lasciare niente dietro di sè, "Life eternal" è quel lumicino che rappresenta la speranza di un'esistenza migliore, di una vita eterna capace di cancellare un finale funesto:"Can you hear me say your name forever? Can you see me longing for you forever? Would you let me touch your soul forever? Can you see me longing for you forever, forever?...". Considerando il livello altissimo tenuto dai Ghost in tutti i brani precedenti, sia a livello musicale che compositivo questo lento si va a piazzare un passo dietro gli altri; ciò è dovuto in parte al songwriting un pò scontato, ed un pò all'eccessiva mielosità che alla lunga potrebbe anche risultare stucchevole. Si ascolta con piacere, e resta un brano gradevole sebbene non aggiunga nulla di più al disco.

11 - IT'S A SIN (BONUS TRACK)
Vi svelo un piccolo segreto:quando ho letto che tra le bonus tracks ci sarebbe stata questa cover dei Pet Shop Boys, in un primo momento ho esultato (il perchè è presto detto:è uno dei miei pezzi preferiti del duo synth-pop inglese); successivamente mi sono immaginato come la voce di Forge avrebbe potuto interpretare questa canzone:ebbene, quella che si sente nel disco è esattamente l'idea che mi ero fatto. Perchè non è difficile figurarsi le tonalità di Tennant e Lowe accostandole a quelle del vocalist dei Ghost:sono, a dir la verità, in alcuni frangenti in tutto e per tutto molto simili.
E quindi, leggete "It's a sin", la ascoltate, e scoprirete che suona esattamente come "It's a sin". In versione un pò più rock, certo. Adattata allo stile dei Ghost, ovviamente. Ma nessun stravolgimento, come è giusto che sia quando ci si accosta ad un capolavoro.

12 - AVALANCHE (BONUS TRACK)
Ammetto che, prima di vederla in scaletta, non conoscevo questa canzone di Leonard Cohen. Sono andato a cercarla e, a differenza di "It's a sin", pensarla rivisitata dai Ghost ha un pò spiazzato la mia immaginazione. La voce cupa e ruvida di Cohen, infatti, non è per niente facile da riproporre, e la curiosità di vedere come Cardinal Copia si sarebbe cimentato con un pezzo del genere era davvero tanta. 
Ebbene, signori, tanto di cappello. Con un cambio incredibile di tonalità vocale, ecco una cover degna di attenzione, una bonus track da piazzare sullo stesso eccellente livello delle bombe già sganciate nei primi dieci solchi. 
Qui il pathos raggiunge picchi pazzeschi, quasi asfissianti; all'interpretazione del leader fa da contraltare l'ennesima prova tecnica sopra le righe del gruppo, a conclusione di un'opera già di per sè di tutto rispetto.
"Avalanche" non è semplicemtne un ulteriore omaggio ai fans del gruppo:è la stoccata finale con cui "Prequelle" chiude il sipario tra gli applausi scroscianti del sottoscritto.




Tobias Forge, in una recente intervista, ha dichiarato che c'è un forte senso di "emergenza" in "Prequelle":"Il senso di molti temi trattati nell'album nasce senza dubbio da una situazione personale, in cui mi è stato chiesto di salvare la situazione in fretta e furia reclamando ciò che era mio e giustificandone la legittimità (il riferimento alla causa intentata dagli ex-membri sembra palese, ndr); si è trattato di riprendere una condizione piuttosto negativa, e di trasformarla  in qualcosa di eccezionale da cui si può trarre una lezione di vita". La peste nera su cui è incentrato il concept dell'intero lavoro ha quindi un chiaro senso allegorico, fortemente autobiografico. Questo è ciò che contraddistingue "Prequelle" dalle precedenti produzioni dei Ghost.
"Opus eponymous" rimane un grandissimo esordio, oscuro e patinato di nero, mentre "Infestissumam" è la conferma della bravura e della sapienza su cui è stato costruito l'intero progetto Ghost. Con "Meliora" Forge ha rasentato la perfezione, sfornando un ottimo lavoro che sarebbe stato difficilissimo da bissare, ancor più complicato da superare. "Prequelle" pur non essendo un capolavoro assoluto, marca un importante passo in avanti su più livelli, ma con coerenza riesce nell'intento di migliorare il risultato complessivo del predecessore:è qui che il metal diventa pop, ed è qui che, senza snaturarsi eccessivamente, dovranno venire a misurarsi gli altri grandi rappresentanti della scena (Metallica ed Iron Maiden sono avvertiti). Perchè è passato il tempo di sparare riff furiosi ed incazzati, se poi ciò che viene proposto rimane solo per pochi. Sperimentare vuol dire anche trovare nuovo accostamenti, ed espandere il proprio seguito, perchè la musica è di tutti e deve arrivare a tutti. Far diventare il metal una proposta pop, non deve quindi essere una vergogna, ma un'idea per rilanciare il genere, e renderlo più fruibile. Il tentativo da parte dei Ghost di alzare il tiro e di entrare di diritto nell'olimpo dei grandi è ampiamente visibile, e l'obiettivo è già stato ampiamente centrato:l'annuncio di portare gli show dal vivo nelle grandi arene come headliners (la serie di concerti denominata "A pale tour named death" annovera già due date al "Forum" di Los Angelese ed al "Barclay's Center" di New York) ne è una prova tangibile, al pari del rumore che ha provocato l'uscita di "Prequelle", ed il (sorprendente? non credo proprio) riscontro commerciale. 
Chiudo questa analisi con le parole di Isidora Troiano, che ha recensito il disco per "Spazio Rock":
"La rinnovata anima dei Ghost si può definire angelicamente diabolica: non ci sono più i cori gregoriani che invocano il Signore Oscuro, ma l'atmosfera generale è comunque inquietante, in modo sottile, un po' come i canti infantili di inizio disco, come dei bambini che giocano col Necronomicon. Chi li segue dagli inizi portrebbe, almeno inizialmente, rimanere deluso, mentre chi li ha appena conosciuti verrà irrimediabilmente conquistato. Di certo c'è che i Ghost hanno creato qualcosa che si infilerà nelle vostre playlist e ci rimarrà per molto, molto tempo. "Prequelle" è un'opera che si può anche odiare, ma che è impossibile smettere di ascoltare". 

 

VOTO : 9/10
BEST TRACKS:"RATS", "DANCE MACABRE", "PRO MEMORIA", "SEE THE LIGHT", "HELEVETESFONSTER", "AVALANCHE"