domenica 25 marzo 2018

RECENSIONE:W.A.S.P. - REIDOLIZED (THE SOUNDTRACK TO THE CRIMSON IDOL) (2018)

W.A.S.P. - REIDOLIZED
(THE SOUNDTRACK TO THE CRIMSON IDOL) (2018)
LABEL:NAPALM RECORDS
FORMAT:DELUXE BOXSET 2CD+DVD



IL CONCEPT:
Jonathan Aaron Steel è un ragazzo come tanti. 
Un ragazzo che vive fin dall'infanzia un'esistenza triste e desolata dovuta al continuo rifiuto che i genitori hanno nei suoi confronti; infatti, ossessionati dalla religione, sia padre che madre considerano Jonathan un fallimento, un figlio che non avrebbero mai voluto. A questo odio si contrappongono le attenzioni e l'amore rivolto verso il loro primogenito, Michael, che sembra l'unico a dar loro soddisfazione. Egli è un fratello buono, comprensivo e capace di ascoltare Jonathan, che lo vede come un eroe. Michael è il suo confidente, il suo migliore amico, il suo punto di riferimento. Grazie alla sua presenza, Jonathan riesce a sopportare l'indifferenza della madre, per la quale è solo un peso da sorreggere, ed i continui abusi da parte del padre, che lo picchia ripetutamente con dei pretesti tanto futili quanto grotteschi.
Nei momenti di solitudine, invece, Jonathan trova spesso consolazione nello specchio, una entità che assume quasi un carattere mistico e con la quale il ragazzo costruisce intorno a se stesso l'immagine che desidera:un mondo fantastico in cui tutto ruota intorno al suo volere.
Con la sua immagine nello specchio, Jonathan esorcizza quello scenario degradante e "malato" in cui è costretto a crescere. Ma la tragedia è dietro l'angolo:in seguito ad un incidente stradale, il fratello maggiore Michael perde la vita, privando Jonathan dell'unica figura di sostegno in quella vita altrimenti malsana; è l'inizio di un periodo di crisi durante il quale il ragazzo comincia ad abbandonarsi ad un circolo di alcolismo e ribellione.
Un giorno, però, Jonathan vede nella vetrina di un negozio una sfavillante chitarra elettrica. Improvvisamente, capisce che rifugiarsi nella musica potrebbe essere la sua salvezza, il modo migliore per esprimere il suo disagio ed imparare a combattere i suoi demoni. Una volta acquistata la chitarra, scopre un talento del quale non aveva neppure sospettato l'esistenza. In breve tempo il giovane diviene un ottimo musicista e comincia a scrivere canzoni, dedicando anima e corpo alla sua nuova passione.
Resosi conto della qualità dei suoi lavori, il ragazzo decide di scappare di casa per dirigersi in una grande città con la speranza che qualcuno lo noti. Per due lunghi anni Jonathan vive alla giornata, mendicando per le strade e suonando canzoni di fronte ad uno smisurato pubblico di passanti distratti. La sua tenacia sembra essere ripagata dall'incontro con un uomo d'affari di nome Charlie, presidente di una delle case discografiche più affermate a livello internazionale.
Charlie offre a Jonathan un contratto al quale il ragazzo non può dire di no, e nel giro di poche settimane il giovane inizia a lavorare sul suo primo disco insieme ai migliori professionisti del settore.
Mesi dopo, poco prima del giorno in cui il suo primo album avrebbe dovuto debuttare nei negozi, il ragazzo incontra sul ciglio della strada una zingara, che gli domanda se per caso fosse interessato a conoscere il proprio futuro mediante la lettura dei tarocchi. Jonathan acconsente e la zingara inizia quindi a raccontare i dettagli del suo passato e del suo presente, interpretando le carte con maestria. Ad un certo punto però, arrivato il momento di scoprire il futuro di Jonathan, la zingara si interrompe con orrore. Il ragazzo la prega di proseguire e lei gli rivela che il futuro non ha in serbo niente di buono per lui. La zingara gli confida di avere avuto la visione di un eroe che cade in disgrazia, e
subito dopo lo ammonisce: "Attento a ciò che desideri, perché potrebbe realizzarsi davvero."
Il primo album di Jonathan viene lanciato, e diviene in breve tempo un successo su scala mondiale.
Il ragazzo triste e sconsolato che aveva avuto una infanzia d'inferno si trova così proiettato in un mondo fatto di ricchezza, denaro e ambizione. Jonathan Aaron Steel si è ormai del tutto trasformato nell'idolo delle folle, il solo ed unico "The Crimson Idol".
Una sera, durante una festa mondana, il ragazzo viene avvicinato da un tizio che gli dice di chiamarsi Doctor Rockter. Sotto la sua guida, il giovane musicista scopre uno stile di vita nel quale droga e perdizione non sono altro che semplici passatempi. Per i tre anni seguenti, Jonathan rimane letteralmente schiavo delle sostanze stupefacenti, arrivando quasi al punto di perdere se stesso.
Anche lo specchio, che era rimasto il suo unico confidente da quando suo fratello Michael se n'era andato, inizia progressivamente a perdere il suo ascendente su Jonathan che, sempre più distratto e allucinato, viene addirittura minacciato di essere scaricato dall'etichetta discografica.
E' in quel momento che il giovane viene illuminato da una visione:si rende conto di quanto schifosamente falso sia il successo per cui ha faticato negli ultimi anni; si rende conto di quanto ipocrita sia l'universo che gli gravita intorno. E soprattutto capisce che l'unica cosa per la quale veramente sarebbe valso soffrire è anche l'unica cosa che davvero gli manca: l'amore e l'affetto delle persone care.
Dopo ore ed ore passate in silenzio, chiuso nella solitudine della sua lussuosa dimora, Jonathan si convince a fare una telefonata. Sono trascorsi anni da quando ha lasciato i suoi genitori, così decide di mettersi in contatto con la sua vecchia famiglia. Al telefono egli è quasi incapace di proferir parola per l'emozione, ma tutte le sue aspettative di conforto ed apprensione vengono tristemente vanificate dalle parole di sua madre. La conversazione rimane fredda, il tono della voce distaccato.
La frase di congedo, un vero e proprio colpo di grazia con il quale Elizabeth Steel lascia Jonathan in balia del suo crudele destino, è:"noi non abbiamo nessun figlio."
Qualche giorno più tardi, subito dopo la fine di un concerto, il corpo del mitico "The Crimson Idol" viene trovato privo di vita in un camerino, impiccato alle corde di quella stessa chitarra che tante emozioni aveva donato a lui e al mondo intero.
Una delle più grandi stelle nascenti della storia della musica era ormai caduta dal cielo della notte, smettendo per sempre di brillare. [*]

Il concept dietro a quest'opera rock dei W.A.S.P. è, come avete potuto leggere, piuttosto crudo.
Già all'epoca Blackie Lawless (leader della band) aveva ideato e girato una sorta di film per raccontare la storia di Jonathan, filmato rimasto chiuso nel cassetto fino ad oggi. 
Per festeggiarne il 25esimo anniversario, l'edizione "Re-Idolized:The soundtrack to the Crimson Idol" ci regala il dvd del film musicale che, pur nella sua particolarità (assenza di dialoghi interamente sostituiti dalla musica, ed immagini spesso ripetute), risulta essere seguibilissimo e incisivo, cupo ed a tratti claustrofobico fino al tragico finale che - per forza di cose - emoziona e lascia l'amaro in bocca.

LA MUSICA:
"The Crimson idol" è un album tirato, da ascoltare tutto d'un fiato ed apparentemente senza punti deboli. E' un proposta in puro stile hard-rock sopra le righe, che riesce a raggiungere, come vedremo, dei momenti di altissimo spessore musicale.
Il disco venne dato alle stampe nel 1992 ed ottenne un notevole successo sia commerciale che di critica, tanto da venire considerato come il picco massimo della discografia della band, e definito da molti come un vero e proprio capolavoro.
"Re-Idolized", invece, uscito circa un mese fa, ne è una versione completamente risuonata dalla formazione attuale della band di Blackie Lawless. Il disco ripropone la stessa scaletta senza stravolgere eccessivamente la proposta originale, che viene anzi ampliata con l'aggiunta di brani già pubblicati in altri album (ma che si incastrano alla perfezione con la storia) e veri e propri inediti. 
Il cofanetto celebrativo - uscito oltre che in cd, anche in vinile e picture disc - include anche il dvd con il film di 55 minuti di cui vi ho parlato sopra. 
Apre questa opera rock "The Titanic Overture", acustica all'inizio e roboante in seguito, ed è una degna introduzione alla storia di Jonathan, la cui figura viene introdotta e delineata con il rock scatenato di "The invisible boy":sin da queste prime battute si capisce quanto i W.A.S.P. siano ispirati, perchè i riff si susseguono senza respiro, le vocals di Blackie si ergono sul muro del suono pulite e cariche, e la scarica elettrica che fuoriesce dalle casse non è mai priva di melodia.
La combinazione vincente dell'opener si ripete anche in altri pezzi tiratissimi come "Arena of pleasure" e "Chainsaw Charlie", mentre con "The Gispy meets the boy" arriva il primo pezzo acustico, a far da introduzione ad una splendida cavalcata fatta di chitarra e batteria (le prove di Doug Blair e Mike Dupka sono davvero encomiabili). La brevissima e strumentale "Michael's song", emozionante e solenne, è soltanto l'aperitivo delle splendide ballads che "Re-Idolized" tirerà fuori. Il rumore improvviso di vetri, infatti, da il via a "Miss you", brano già pubblicato nel precedente lavoro dei W.A.S.P. ("Golgotha"), di cui era uno degli highlights assoluti.
Viene riproposto qui, leggermente riarrangiato, come riflessione di Jonathan sulla perdita (appena avvenuta in questo momento della storia) del fratello Michael:
"Lost inside our room
A priest at the door with news
Said you were gone and I knew
Oooh and my world was broken in two
I'd pray that you were here
To hold my heart
I'd hide myself in your bed
And cry myself numb
Oh God I miss you
Tell me can you hear me
Oh God I miss you
I can't scream and I can't speak..."
La toccante interpretazione, accompagnata da dolcissimi rintocchi di chitarra acustica, ci regala una delle migliori ballads degli ultimi dieci anni in ambito rock. Eppure, il livello altissimo di un pezzo come "Miss you" qui verrà addirittura superato da due perle di esagerata bellezza, che verranno più avanti.
Altro pezzo a cui spetta una menzione particolare dopo la scatenata "Doktor Rockter" è "The Idol", episodio introspettivo dove acustico ed elettrico si sposano a meraviglia, e dove la chitarra piangente trova uno spazio liberatorio nel gran finale, ancora una volta suggestivo e carico di pathos:
"If I could only stand 
and stare in the mirror would I see
One fallen hero with a face like me
And if I scream, could anybody hear me
If I smash the silence, 
you'll see what fame has done to me..."
Il testo trasuda la tristezza di Jonathan che, resosi conto del baratro in cui la fama lo ha gettato, stenta a riconoscere se stesso anche davanti a quello specchio che tanto lo aveva confortato in passato.
E' qui che Jonathan capisce che ha bisogno dell'amore della famiglia e decide, a distanza di anni, di telefonare a casa.
Ed è qui che l'idolo delle folle segna definitivamente il suo tragico destino.
"The idol" porta dritti al fulcro dell'intera opera, che in questa riedizione scava un solco ancora più profondo, raddoppiando la dose. Non ho paura, nè dubbi, a definire "Hold on to my heart" (già presente nell'edizione originale di "The Crimson Idol") come la canzone d'amore hard-rock più bella di sempre.
La chitarra acustica che "comanda" la melodia insieme a delle note semplicissime di basso, ti entra subito nelle viscere, te le rivolta, te le contorce. E' una lovesong universale, valida cioè per ogni occasione, che sia un momento romantico in compagnìa della vostra metà od un volersi struggere in solitario; il pezzo ovviamente, assume un effetto ancor maggiore e brilla di luce propria se si tiene presente l'intera storia dell'idolo cremisi.
La voce di Lawless si posa, graffiante e ruvida, con incredibile dolcezza sul comparto musicale, lasciando l'ascoltatore inerme, paralizzato e con i brividi che corrono per tutta la spina dorsale:
"There's a flame, flame in my heart
And there's no rain, can put it out
And there's a flame, 
it's burning in my heart
And there's no rain, ooh can put it out
So just hold me, hold me, hold me
Take away the pain, inside my soul
And I'm afraid, so all alone
Take away the pain, 
that's burning in my soul
Cause I'm afraid that I'll be all alone
So just hold me, hold me, hold me..."
Dagli stessi emozionanti accordi, nasce e si sviluppa poi "The peace", aperta da un suono chitarristico con un effetto eco, ed immediatamente doppiato dal basso di Mike Duda e dalla stessa chitarra, stavolta in primo piano.
Su una base quindi del tutto simile alla precedente, si sviluppa una melodia vocale diversa ma non meno commovente. L'aggiunta della tastiera, che interviene sui ritornelli e chiude con intensità sull'assolo finale, porta questo pezzo ad essere non solo un compendio della precedente "Hold on to my heart", ma addirittura una sorella più elaborata e rivestita, e per questo per certi versi anche più riuscita.
La critica che molti potrebbero muovere, è che effettivamente l'assonanza fra le due canzoni è quasi imbarazzante. Ma la capacità di rielaborare un capolavoro con sapienza e maestria (e chi meglio dell'autore originale poteva andarlo a fare?) ne ha, in questo caso, semplicemente generato un altro. 
Credetemi, non è facile per niente l'impresa in cui sono riusciti i W.A.S.P.:si sono presi un rischio pazzesco, ed il risultato è da standing ovation. 
Semmai si può parlare di furbizia, di un voler "giocare sul sicuro", ma signori, tanto di cappello; perchè questo brano - come il gemello che lo precede - merita di essere ascoltato e vissuto almeno una volta nella vita, anche da chi è digiuno di tutto ciò che è metal, e da chi - rockettaro fino all'osso - non ama le ballads.
Chiude il disco la lunghissima suite di 9 minuti intitolata "The great misconception of me", che è il compendio di tutta la storia di Jonathan, e ne raccoglie le ultime struggenti riflessioni in un vero e proprio epitaffio che preannuncia il tragico finale:
"I am the prisoner of the paradise I dreamed
The idol of a million lonely faces look at me
Behind the mask of sorrow, four doors of doom behind my eyes
I've got their footprints all across my crimson mind..."
L'atmosfera è tormentata, e trasmette angoscia di parola in parola in un crescendo che va di pari passo con la musica, che come un'onda del mare si gonfia nervosamente per poi ripiegarsi su se stessa e riacquietarsi; in quei frangenti si torna nello sconforto, che è così profondo e radicato da spingere addirittura il ragazzo a dire che il vero "idolo" è il padre, mentre lui è semplicemenmte "l'impostore":
"I'm the imposter, the world has seen
My father was the idol, it was never me
I don't wanna be, I don't wanna be, 

I don't wanna be
The crimson idol of a million eyes...
"
Nel mediometraggio, su un finale magnificente per strumentazione e pathos, Jonathan pone fine alla sua esistenza con queste ultime riflessioni, e con un'ultima frase ("Love set me free") che rimbomba nelle orecchie mentre cala il sipario. Con il disco giunto alla fine, anche il silenzio che ne sussegue diventa un'ulteriore cornice al finale dell'opera; perchè in quel silenzio che sa di vuoto ormai incolmabile, si rivive a grandi linee e con un groppo in gola un pò tutta la storia.


 "The soundtrack to the Crimson idol" è una riedizione che non può mancare sulle mensole di ogni amante del rock che si rispetti. Perchè oltre ad essere un concept album riuscitissimo (cosa per niente scontata), capace di offrire numerose sfaccettature a livello artistico - coinvolgendo musica, cinema e letteratura (in parte minore) - ha la capacità di rapirti, di trascinarti nella storia e di emozionarti. L'empatia con il protagonista è immediata, e lascia riflettere; di storie simili, ed anche più crude, ve ne sono anche nella vita reale.
Qui entra in ballo anche un'analisi sulla crudeltà che si cela sia dietro al mondo dello show-business, sia nella società odierna. 
E' un'accusa di bigottismo, di chiusura mentale, ed un grido disperato in cerca di amore; l'amore, quello semplice, primitivo, basilare e su cui si costruisce l'esistenza di ognuno di noi. 
Quello profondo, spassionato, che solo un padre ed una madre sanno donare nei confronti di un figlio.

VOTO:9/10
BEST TRACKS:"HOLD ON TO MY HEART", "THE PEACE", "THE GREAT MISCONCEPTION OF ME", "MISS YOU", "THE IDOL",  "THE GIPSY MEETS THE BOY".
 



 [*] Il testo, rivisto e corretto dal sottoscritto, è liberamente tratto da "Wikipedia". Ho trovato il modo di esporre il racconto molto chiaro e dettagliato, ed a parte qualche aggiustamento qui e lì, ho voluto riproporlo quasi per intero.

domenica 4 marzo 2018

TRACK BY TRACK:JUSTIN TIMBERLAKE - MAN OF THE WOODS (2018)

TRACK BY TRACK:
JUSTIN TIMBERLAKE - 
MAN OF THE WOODS (2018)
LABEL: RCA
FORMAT:LP LIMITED ORANGE VINYL 
('TARGET' EXCLUSIVE EDITION)





Il 2018 musicale si apre con il botto, e con il gradito ed atteso ritorno di Justin Timberlake sulle scene:un nuovo album, una performance strabiliante al Superbowl (dove insieme ad un medley dei suoi più grandi successi ha presentato la nuova "Filthy" e tributato Prince con una splendida rivisitazione di "I would die 4 U") ed una serie di nuovi videoclip dal forte impatto visivo.
Justin è uno dei pochi artisti in circolazione veramente completi:canta (e con ottimi risultati), scrive, produce, balla e recita persino (ormai la sua carriera cinematografica comincia ad essere davvero consistente, con svariati film all'attivo). Insomma, un artista universale, amato dal pubblico, dai media e dai colleghi, pluripremiato e dal talento cristallino. In un ambito strettamente musicale è considerato, ad oggi, forse il più grande cantautore pop sulla scena mondiale dopo Michael Jackson.
Un fenomeno di tale portata non nasce dal nulla:l'avventura con gli Nsync è stata solo un trampolino di lancio, ed a parte qualche record e qualche pezzo memorabile, non ha lasciato a livello musicale una grande impronta nella storia della musica. Il talento di Timberlake era però già ben visibile all'epoca, ed ha trovato la sua giusta dimensione nel primo lavoro da solista, "Justified", che sebbene un pochino acerbo, ha avuto il merito di lanciare singoli della portata di "Cry me a river" e "Rock your body". Il successivo "Futuresex/Lovesound"  è quello che, ad oggi, io considero il suo capolavoro assoluto:oltre ad essere un album veramente innovativo, per l'idea originalissima di far fare una sorta di metamorfosi a tutti i brani, la proposta complessiva è davvero al di là di ogni aspettativa:"What goes around comes around" resta un grandissimo pezzo di pop/soul contemporaneo, "Sexyback" un vero e proprio inno da club, e "Lovestoned/I think that she knows" è paragonabile alla storica "Don't stop 'til you get enough" di Michael Jackson, rivista e corretta in chiave moderna. Con il terzo lavoro della sua carriera, "The 20/20 experience", Justin ha superato sè stesso a livello di sperimentazione:ha lanciato ben due dischi nell'arco di 6 mesi (cosa vista come anti-commerciale dalle case discografiche, ma che a quanto pare ha funzionato alla grande), collegati tra loro da un filo conduttore semplice semplice:pop di classe, mescolato a tanto sano R&B, sofisticato e mai banale. E così anche pezzi apparentemente difficili come "T.K.O.", "Tunnel vision" e "Suit & Tie" hanno riscosso successo, mentre "Mirrors" ha letteralemente monopolizzato radio ed emittenti musicali, diventando in poco tempo un classico ed una delle più acclamate lovesong di sempre. 
In mezzo a tutto ciò:una ventina di film, alcuni dei quali ad alto budget e con Justin protagonista assoluto, qualche partecipazione di rilievo (tra Ciara, Rihanna, Timbaland, Duran Duran e persino in un inedito postumo del Re del Pop), e il fortunatissimo brano "Can't stop the feeling" per la colonna sonora del cartone animato "Trolls" della Dreamworks.
Si arriva così ai giorni nostri con questa nuova fatica, chiamata "Man of the woods". Per l'occasione, farò un lavoro simile a quello fatto con i Depeche Mode qualche mese fa. E quindi mi appresto a piazzare il vinile sul piatto, per analizzare traccia per traccia questo nuovo disco; premetto che non è un primo ascolto assoluto, perchè la curiosità era tanta ed appena uscito non ho potuto fare a meno di spizzicare qui e lì qualche anteprima. Però è senz'altro un'analisi ancora equiparabile alla "prima impressione", poichè è un album che devo ancora assimilare e fare mio.
E' tutto pronto, quindi posiziono la puntina e si parte:sentiamo cos'ha da dirci l'uomo dei boschi.

1-FILTHY
L'opener è anche il singolo di lancio, quindi il pezzo che conosco di più dell'intero lotto. E che dire? E' un gran pezzo pop, che ha il pregio di essere qualcosa di talmente originale da lasciare, alla prima impressione, un pò spiazzati. La capacità di Justin - già dimostrata in altri frangenti - è quella di essere commerciale ed orecchiabile senza per forza scadere nello stucchevole; "Filthy" non è per nulla scontata, nè nell'impianto musicale, imbastito con la solita maestria da Danja, pupillo di Timbaland, nè nella parte vocale, che spazia tra il parlato ed un cantato completamente rinnovato da alcuni salti di tonalità spettacolari e da un trascinamento di parole particolare ed inusuale. 
L'effetto che ne deriva, è quello del passare dal "ma come sta cantando?", al cantare in coro con lui:
"I said, put your filthy hands all over me
And no, this ain't the clean version
And what you gonna do with all that meat?
Cookin' up a mean servin'
No question, I want it
Fire up, everybody smokin'
Your friends, my friends
And they ain't leavin' till six in the morning (six in the morning)
Come chill, baby, you the coldest
Go far, put 'em on notice
If you know what I want, then yeah...
"
A livello di significato, non si va oltre ad una continua allegoria sessuale, spinta al limite dell'esibizionismo. Il mid-tempo elettronico su cui si muove tutto il pezzo, è un pop/R&B dalle forti influenze elettroniche (i Daft Punk non avrebbero saputo fare di meglio, nè avrebbero sfigurato in un pezzo del genere come guest-stars), che non porta nulla di esageratamente nuovo al panorama della musica moderna, ma che nell'insieme funziona alla grande. Gli inserti pomposi che intervallano la base ben si allacciano al video, quello sì, ipermoderno; il clip vede Justin in veste di inventore pronto a presentare al pubblico un robot dalle fattezze umane, che egli è capace di pilotare con i propri movimenti a distanza. Il pubblico a cui viene presentata questa macchina intelligentissima esulta estasiato, e rimane ipnotizzato dalla novità, ma quando tutta la presentazione sembra finire in trionfo, qualcosa va storto:un glitch fa sparire Justin che viene "informaticamente" cancellato (non saprei con quale altre parole descrivere questa scena, non vi resta che vederla!).
"Filthy" è davvero un'ottimo brano, e un'ottima scelta come primo singolo, anche se non rappresenta assolutamente lo stile di "Man of the woods"; anzi, alla resa dei conti, vedremo come ne risulti più un episodio a sè stante, completamente slegato da tutto il resto dei brani. A questo punto, si intuisce come il disco possa essere pieno di sorprese dalle molteplici sfaccettature. Vediamole.

2- MIDNIGHT SUMMER JAM
Si entra nel vivo con questo pezzo a cavallo tra un ritmo funky e un pezzo disco/boogie degli anni 70 (Earth Wind and Fire, Imagination, Kc and The Sunshine Band vi dicono qualcosa?); allo stesso tempo, strizza l'occhio sia al James Brown che fu (con quelle chitarrine acustiche ripetute all'infinito) sia a molti dei pezzi dell'ultimo Bruno Mars, per restare più attuali. Si intuisce chiaramente anche la mano dei Neptunes, a completare il minestrone. Però, proprio per aver attinto un pò qui, un pò lì, "Midnight summer jam" diventa un'accozzaglia di sonorità sparate senza costrutto, ed una perpetua citazione di mostri sacri della black music che ti fa passare 3/4 minuti scialbi, incapace di lasciarti qualcosa di compiuto nella testa. E' un passo indietro rispetto a "Filthy" e, considerando che è appena il secondo brano dell'album, è un campanello di allarme:e se "Man of the woods" non fosse un capolavoro come mi aspettavo? Non resta che andare avanti, e scoprirlo...

3 - SAUCE
Aperta da un'inaspettata chitarra elettrica, "Sauce" è quanto di più vicino Justin potesse partorire ispirandosi a Prince. Sembra davvero di ascoltare un pezzo inedito del genietto di Minneapolis, a cui Timberlake rifa il verso anche vocalmente. La nota positiva è che questo brano funge più da tributo che da scimmiottamento. Quella negativa è che non è esattamente ciò che mi aspettavo da Justin:se tributo doveva essere, avrei preferito che ci mettesse molta più farina del suo sacco, per creare una commistione di stili che, a mio avviso, si sarebbero sposati a meraviglia. Per questo non lo metterei tra gli episodi più riusciti dell'intero album; il rischio è anche che presto questa canzone sparirà dai miei futuri ascolti:non me ne voglia Justin, ma se voglio ascoltare Prince, ascolto Prince. Alla resa dei conti, "Sauce" mi lascia interdetto:perchè non so se considerarlo come un ulteriore passaggio a vuoto di questo disco, o se tentare di vederci qualcosa di buono. Se non altro, rispetto a "Midnight summer jam" abbiamo fatto un passo avanti.   

4 - MAN OF THE WOODS
No, mi duole dirlo, ma non ci siamo proprio. La title-track non è per niente all'altezza di quello che è Justin, e di quello che ha fatto fino ad ora. E' orecchiabile (almeno nel ritornello) ma per il resto è una canzoncina senza pretese, un filler inutile che, giunti alla quarta proposta del disco, mi preoccupa e non poco:l'album, invece di decollare si sta ripiegando su sè stesso, e il rischio di perdersi è altissimo. Se questo pezzo è country, è un country di bassa leva. 
Se è pop, non è roba che passerebbe nelle radio. 
Se è funky...davvero può essere funky? non lo è. 
Più la canzone suona nelle mie cuffie, è più penso che sprecarci altre parole sia inutile. Questo inciderà non poco nel mio giudizio finale.

5 - HIGHER HIGHER
A "Higher higher" spetta un compito difficilissimo:risollevare un album che sta crollando, e per fortuna ci riesce. Ecco finalmente un pezzo che merita di essere ascoltato e riascoltato, perchè in puro stile Timberlake, trascinante, con un sapore R&B che ti entra nelle vene, ed il sospetto che non sia stata messa a caso in scaletta come proposta successiva alla "Man of the woods" appena ascoltata è lampante.
Finalmente Justin torna al falsetto, con una grande prova vocale, mentre la chitarra acustica (di chiara ispirazione country) viene ripetuta in loop, accompagnando tutto il brano fino ad un bridge da brividi; il pezzo riprendere poi il motivo principale prima di lanciare il finale. "Higher higher" è anche il primo brano di "Man of the woods" che avrei desiderato durasse di più, ma bisogna pur accontentarsi:intanto, con questo suo tocco vellutato e piacevole, accarezza le orecchie e restituisce al disco dell'ex N'Sync un certo interesse, necessario per evitare di cestinare questo suo quinto lavoro. Inoltre, ci regala un brano più che valido, che difficilmente dopo qualche ascolto stancherà l'ascoltatore. Se fossi stato un addetto al marketing per il lancio dell'abum, avrei insistito fermamente per proporlo come uno dei prossimi singoli.

6 - WAVE
Che questo album sia un meticcio di svariati generi musicali, è ormai ben chiaro. Qui, in "Wave" subentra anche una vena raeggae, che non guasta:ma ancora una volta, invece di dare la svolta in positivo, Timberlake imbrocca la penalità come al gioco dell'oca:e si ritorna al punto di partenza. Il ritornello è praticamente inesistente, perchè interamente costituito dalla ripetizione della frase "Cause it ain't got no waves (waves)". Per carità, ci può stare: Justin aveva già fatto una cosa simile con "Sexyback", ma sapete tutti quanto quel pezzo spaccasse e fosse esplosivo, mentre il brano in questione resta piatto, non ha carica ed è tremendamente ripetitivo. Anzi, è di una noia (quasi) mortale. 
I colpi sparati a salve cominciano ad essere davvero troppi, giunti a questo punto. E con un bel pò di amaro in bocca, proseguo l'ascolto.

7 - SUPPLIES
Ecco uno dei due brani scelti per lanciare il disco insieme a "Filthy". E finalmente si torna su livelli più che decenti, perchè perlomeno "Supplies" è caratterizzata in modo deciso da arpeggi acustici piuttosto sinistri che, abbinati ad una base di impronta hip-hop, funzionano in modo particolare; il pezzo risulta così tirato, cupo e per questo a tratti quasi inquietante e claustrofobico. Dico sempre che la parte fondamentale di una canzone riuscita è il bridge - Michael Jackson era un maestro a crearne - e sebbene Justin pecchi spesso nel tirarne fuori, dimostra di avere abilità non comuni, che vengono fuori in modo lampante in frangenti come questo:"Supplies", poco prima di finire, cambia improvvisamente registro e quei pochi secondi impreziosiscono un pezzo già riuscito di per sè, oltre ad offrire uno stacco necessario per evitare che diventi troppo statico. 

8- MORNING LIGHT (FEAT.ALICIA KEYS)
Sarò sincero:questa "Morning light" è un pezzo senza dubbio valido, eppure non mi fa impazzire, e sono consapevole che sarà uno di quei brani in cui il mio gusto personale si scontra con il giudizio obiettivo. 
E quindi:non posso bocciare l'abbinamento del ritmo R&B, con l'arpeggio countrieggiante che si affaccia alla fine di ogni 4/4, mentre le voci di Justin ed Alicia Keys si inseguono in un connubio riuscitissimo di stili. Ma allo stesso tempo, non me la sento di ignorare ciò che arriva alle mie orecchie, e cioè un duetto che suona noioso, sciapo e privo di quei sussulti che ti fanno dire:"oh! questo passaggio spacca!". "Morning light", alla resa dei conti, è un pezzo dalle forti atmosfere soul, che ricorda vagamernte "Love and happiness" del soul-man di Memphis, Al Green; lo fa però in modo piuttosto sbiadito, senza grossi picchi di personalità da parte di entrambe le star. E quindi resto nella terra di nessuno, a dire che "sì, è carino, si ascolta", ma poi appena potrò (già lo so) andrò a spostare la puntina per passare al solco successivo.

9 - SAY SOMETHING (FEAT.CHRIS STAPLETON)
Oh finalmente ci siamo arrivati. E' il momento in cui Justin può giocarsi il jolly, e riportare "Man of the woods" ad un livello di decenza necessario per salvarlo. "Say Something" è il secondo singolo del disco, ed è davvero un pezzo riuscitissimo, su tutta la linea. La presenza di Chris Stapleton è un evidente indizio di quanto questa canzone abbia un sapore country, sul quale Justin si muove con inaspettato agio. E così in un attimo ti ritrovi a cantarla, alzando sempre di più la voce, mentre il ritmo semplicissimo (sul quale vengono inseriti dei leggerissimi accenni di basso elettronico che non snaturano il gusto "rurale" del country più grezzo) ti trascina, ti fa battere il piede per terra, ti fa schioccare le dita. 
E' splendido il modo in cui le due voci si inseguono e si sovrappongono nel ritornello, che - a mio avviso - è senz'altro molto, ma molto più riuscito di quello con Alicia Keys (e chi l'avrebbe detto?). Bellissimo anche il video, dove Timberlake si aggira all'interno di un palazzo enorme, tra luci soffuse e musicisti che lo accompagnano, camicione a scacchi e chitarra in spalla che più country non si può, mentre intona: 
"I don't wanna get caught up in the rhythm of it 
But I can't help myself, no, I can't help myself, no, no 
Caught up in the middle of it 
No I can't help myself, no I can't help myself, no, no, no 
Caught up in the rhythm of it...". 
E' lì che JT incontra Chris Stapleton, che suona con lui mentre la gente si affaccia dalle finestre, esce dalle porte, e batte le mani cantando in coro insieme a loro il ritornello:è un momento da brividi, che vi consiglio di vedere. "Say something" è uno di quei pezzi che ti fa rimpiangere di aver comprato l'album, anche se orami sai che non è un capolavoro.

10 - FLANNEL
Ed ecco un altro brano che ricalca le classiche composizioni country. Composizioni che in USA vanno tantissimo, ma che dalle nostri parti lasciano il tempo che trovano, perchè non fanno parte integrante della nostra cultura. "Flannel" però si ascolta con piacere, è una specie di filastrocca acustica e delicata, senza grosse pretese certo, ma non pesante. L'impressione è che faccia da ponte ad una chiusura di disco, che si spera sia all'altezza del Justin Timberlake che tutti noi conosciamo.

11 - MONTANA
Ed infatti, ecco servito un altro grande pezzo di rilievo, interamente R&B vecchio stampo, in pieno stile Imagination (avete presente "Just an illusion"?). "Montana" ha un ritmo simile anche a "Rock your body" (il grande successo di Justin contenuto nell'esordio "Justified"). Alle strofe cantate ed interpuntate da voci doppiate da Timberlake stesso, si aggiunge il ritornello in falsetto che dopo due passaggi apre ad un altro bridge valido; tutto ciò rende il brano nella sua semplicità un grande pezzo pop, buono da suonare e ballare nei club, ma anche da ascoltare seduti in poltrona. 
Ancora una volta, la pecca è che la canzone viene sfumata e forse finisce troppo presto:non si poteva proprio farla girare per un altro minuto e chiuderla in maniera decisa? 

12 - BREEZE OFF THE POND
Ci speravo in un miglioramento complessivo di questo lavoro, e per fortuna almeno in questo non sono stato smentito. Anche "Breeze off the pond", che è un pò una summa di tutto quello ascoltato fino ad ora, funziona:gli inserti acustici richiamano ancora una volta il country, mentre il ritmo sintentico e danzereccio di un R&B delicato ma incisivo allo stesso tempo lo rendono godibile e contagioso. E' questo l'ambiente naturale di Justin Timberlake, ed è inevitabile che qui riesca a tirare fuori il meglio di sè; questo è anche il brano in cui riesco a ritrovarci in modo più evidente un'ispirazione Jacksoniana. Bellissima la chiusura, che vede sfumare la musica mentre Timberlake continua a cantare a cappella.

13 - LIVIN'OFF THE LAND
L'album sta per volgere al termine, tra alti e bassi, eppure in questi pezzi finali sembra aver trovato la giusta quadratura:"Livin'off the land" infatti, è una canzone che parte lentamente, accompagnata da un giro ansioso e frenetico di basso (con le solite chitarre acustiche di supporto), fino ad aprirsi in un memorabile ritornello che lo trasforma in una proposta vincente.
Con semplicità e senza strafare, qui si ha anche la possibilità di sentire qualcosa di completamente diverso e veramente innovativo:unire soul, funky e country per molti potrebbe sembrare un accostamento azzardato, ma "Livin'off the land" è la prova che i generi succitati, se non eccessivamente stravolti, si amalgamo alla perfezione.

14- YOUNG MAN
Chiude un lavoro pervaso da luci ed ombre "Young man", brano che non aggiunge niente al lavoro complessivo, e che ci permette di ascoltare anche la voce, sul finale, del figlio di Justin. E' un altro di quegli incontri "padre-figlio" che già avevamo potuto apprezzare in passato in un pezzo di Will Smith (la bellissima "Just the two of us") e in uno di Eminem (la melanconica "Hayley's song"), solo per citarne alcuni. "Young man", a differenza degli episodi appena citati, scorre via senza lasciare il segno, ricalcando le stesse atmosfere di quasi tutto l'album. Ciò che non funziona in questa proposta, è l'eccessivo piattume che caratterizza il pezzo dall'inizio alla fine; si fa fatica a percepire l'arrivo del ritornello, che ovviamente non fa nulla per essere ricordato. 
In sostanza, è un altro filler di cui, volendo, si poteva fare a meno.

Purtroppo, è evidente come, pur volendo salvare il salvabile, e nonostante la presenza di autentici colpi di classe (i singoli finora estratti sono perle che non verranno dimenticate tanto facilmente), ci si trovi ad un album piuttosto al di sotto delle aspettative. 
Justin Timberlake ha voluto cavalcare l'onda del momento, quella della riscoperta di un sound tipicamente americano, regionale e fondato sulla tradizione, cercando di renderlo più internazionale. Ma il country è, e resterà, sempre un prodotto tipico a stelle e strisce. L'esperimento è stato già tentato qualche mese fa da Miley Cyrus (per quanto l'accostamento possa reggere) con gli stessi identici risultati alterni, ed in parte da Lady GaGa col suo più intimo, ultimo lavoro "Joanne". 
"Man of the woods" suona come un clamoroso passo indietro rispetto ai due "20/20 Experience", ed è lontano anni luce alla perfezione (seppur patinata) di "Futuresex/Lovesound".
Le capacità e la bravura dell'artista non vengono però messe in discussione; forse Justin ha pensato che fosse il momento giusto per osare, e proporre qualcosa di inaspettato pur rischiando di ottenere dei risultati più modesti con conseguente perdita di seguito. I numeri, del resto, sono sotto gli occhi di tutti:all'enorme successo di critica e di pubblico della performance al Superbowl (che rinverdisce ulteriormente lo status di superstar del personaggio) fa da contraltare il fiacco successo di "Filthy" nella Billboard Hot 100; "Say something" avrebbe potuto diventare una hit colossale, invece ha accusato il colpo ed al momento di scrivere sta facendo piuttosto fatica ad imporsi, mentre l'album dopo l'ovvio boom della prima settimana, è già in lento declino. Può darsi che con il tempo, e diversi altri ascolti (che ritengo necessari), in futuro questo disco acquisti più appeal. Per ora, mi lascia un pochino di amaro in bocca, e la stiracchiata sufficienza non può e non deve essere uno standard di riferimento per quello che, tra tutti e secondo il mio parere personale, è il diretto discendente al trono dell'unico ed inimitabile re del pop, Michael Jackson.

VOTO: 6
BEST TRACKS:"SAY SOMETHING", "FILTHY", "MONTANA", "HIGHER HIGHER"