venerdì 30 giugno 2017

PLAYLIST:THE CURE #1

PLAYLIST:THE CURE  #1


Non è stato facile stilare una brevissima playlist su un gruppo storico come i Cure, che hanno qualcosa come 40 anni di carriera alle spalle e che nel bene o nel male ha fatto non solo la storia del pop, ma anche della new-wave e di quel movimento post-punk nato sul finire degli anni '70. 
A prescindere, non è mai semplice imbarcarsi in un lavoraccio di questo tipo, sia che si tratti di organizzare una selezione su un unico artista/band, sia che si scelga di improntare la scelta su un genere a sè stante. Fatto sta che mi sono armato di carta e penna, e dopo diverso tempo e svariati ripensamenti, sono arrivato ad una conclusione:non ce l'avrei proprio fatta a scegliere solo 5 canzoni nel loro repertorio da suggerire per una eventuale playlist. E da qui è nata l'idea di raddoppiare la scelta, e separare i grandi classici dalle canzoni meno conosciute; questo perchè i Cure, sin dall'album d'esordio ("Three imaginary boys" del 1979) fino all'ultimo disco da studio ("4:13 dream" del 2008) hanno disseminato, qui e lì, degli autentici capolavori che certamente i fans riconosceranno già dalla prima nota, ma che non hanno avuto enormi riscontri di pubblico, vuoi perchè non accompagnati da un video o lanciati come singolo in radio, vuoi per la loro complessità sonora che spesso non fa rima con "commerciabilità del prodotto". Entrando nello specifico, e bypassando inutili discorsi storici ed analisi che eventualmente affronterò in una recensione approfondita di uno dei loro lavori, ecco qui le mie 5 canzoni che porterei su quella stereotipata isola deserta in cui ogni tanto ci si immagina di dover finire. Quelle insomma, di cui io non farei a meno, e che un qualsiasi lettore di musica in mio possesso deve e dovrà contenere in modo imprescindibile. Sono brani, questi, che abbracciano quasi tutti il periodo anni '80 del gruppo, tinteggiato da un alone dark che solo in alcuni passaggi diventa più pop e che hanno segnato in qualche modo la mia vita ed i miei gusti musicali. 
Già da questa ardua scrematura emerge chiaramente quale, per il sottoscritto, sia poi l'album di riferimento, il capolavoro di Robert Smith e soci ("Disintegration" del 1989), ma vi svelo un segreto:non lasciatevi ingannare dalla posizione in cui ho piazzato in questa playlist determinati brani, e non fatevi sviare da quello che ho appena suggerito; non vi ho detto una bugia, è senza dubbio "Disintegration" l'album che amo di più dei Cure, ma questo non vuol dire che contenga la mia canzone preferita. Volete scoprire qual'è? Non ci resta che addentrarci nel mondo malinconico e crepuscolare dell'uomo ragno che tesse ragnatele in fondo al nostro letto...



1 - LULLABY (1989)
Chi non conosce questa canzone? Non ha certo bisogno di presentazioni, visto che è la hit più famosa del gruppo inglese.
Costruita interamente su un tappeto meraviglioso di tastiere che si inseguono in un incedere continuo e sempre più invadente, "Lullaby" ha un'andatura da mid-tempo, quasi caracollante, sulla quale si dipana la voce sussurata ed a tratti inquietante di Robert Smith. Il testo, visionario, è un incubo metaforico dove il protagonista è bloccato in un letto mentre un fantomatico uomo-ragno si appresta ad averlo per cena ("...And there is nothing I can do when I realize with fright that the spiderman is having me for dinner tonight..."). L'unica speranza è l'arrivo del giorno, che però non è sinonimo di salvezza certa, visto che questo "mostro" è sempre affamato ("And I know that in the morning, I will wake up in the shivering cold. And the spiderman is always hungry...").
E' una rappresentazione a tinte fosche dei nostri incubi infantili, la paura del buio, il terrore dell'uomo nero, dei rumori e di quegli scricchiolìi sinistri che si sentono in ogni casa quando si spegne la luce. E' anche naturale interpretarlo in mille altri modi diversi, su tutti il timore dell'ignoto e dell'oscurità che ogni individuo si porta dentro, ma sinceramente non ci vedo chissà quale messaggio nascosto:è un puro racconto horror in musica, gotico ed oscuro, che è ben rappresentato dall'arcinoto video che ha accompagnato l'uscita del singolo. Il brano, contenuto in "Disintegration", è davvero una sublime opera pop unica nel suo genere, che ben si presterebbe persino ad essere suonata da un'orchestra. La tessitura musicale ha una struttura proprio simile ad una ragnatela, tanto è complessa e satura. Una ragnatela subdola, perchè può facilmente intrappolare l'ascoltatore e paralizzarlo, per agevolare il pasto serale dell'uomo-ragno...


2 - BURN (1993)
Ricordo ancora la prima volta che ascoltai questo pezzo:rimasi fulminato, e fu amore al primo ascolto. Era contenuto in un trailer del film per cui è stata scritta, "Il Corvo", che tragicamente ha portato alla morte del protagonista Brandon Lee (ma questa è un'altra storia). Voluta fortemente sia dal regista Alex Projas che dal creatore del fumetto James O'Barr (il cui protagonista è chiaramente ispirato anche a Robert Smith), la partecipazione dei Cure alla colonna sonora ha fruttato uno dei più bei pezzi rock-gotici mai scritti; il tappeto batteristico è incisivo ed il giro di chitarre avvolgente, mentre il testo è un quadro appena accennato ma vividissimo e realistico della storia narrata da O'Barr, secondo la quale una coppia in procinto di sposarsi viene uccisa barbaramente da una gang, e un corvo (che è il tramite tra il regno dei vivi e quello dei morti) ad un anno di distanza permette all'uomo di resuscitare per mettere a posto le cose e vendicarsi dei loro assassini. Sin dalle prime battute ("Don't look don't look the shadows breathe whispering me away from you...") si intuisce la vena triste e melanconica della canzone, che però spira rabbia e decisione man mano che il tono sale fino al ritornello, interpretato in modo sublime ("But every night I burn, every night I call your name. Every night I burn,every night I fall again").  In questa canzone c'è tutto: amore,vendetta, ossessione, impotenza, inquietudine. E' un cumulo di emozioni che possono rivivere dentro l'ascoltatore sotto altri mille aspetti, e nonostante la sua durata (che sfiora i 7 minuti), è uno di quei pezzi che sembra finire troppo presto per quanto è bello e vigoroso. Non nascondo un pochino di indecisione, ma è questa quella che io definirei la migliore prova dei Cure di sempre. Per le sue mille sfaccettature; perchè è legata ad uno dei miei film preferiti (se non il preferito in assoluto); perchè è in pieno stile Cure; e perchè sì, non lo nego, a distanza di...quanto? 25 anni dalla sua uscita (porca vacca quanto tempo è passato!!), io non sono ancora stanco di riascoltarla.


3 - CHARLOTTE SOMETIMES (1981)
"Charlotte sometimes" è un affresco di musica gotica, diafana e decadente. Stavo per inserirlo nella seconda scaletta (quella dei brani meno conosciuti) anche perchè non è presente su nessun disco dei Cure (fatta eccezione per la raccolta "Staring at the sea") ed è un singolo a sè stante. Però poi ho realizzato che non potrei, davvero, fare a meno neanche di questa. Perchè è un autentico concentrato di malinconia in note, dal suono metallico e per questo distante, in alcuni passaggi davvero inquietante, come se la voce di Smith arrivasse direttamente da un incubo. Accompagnata da splendidi controcanti, "Charlotte sometimes" è lancinante e lugubre, costruita su accordi tanto semplici quanto efficaci, ed è ispirata da un racconto per bambini del 1969 di Penelope Farmer dal medesimo titolo. E' la storia,ambientata verso la fine degli anni ’60, di una giovane ragazza che per una sorta di magia, si trova proiettata in una diversa realtà, nel lontano 1918, anno nel quale lei non è più se stessa ma una certa Clare Croft. E così Clare "incontra" Charlotte, creando una sorta di due personalità diverse in epoche diverse, chiara similitudine con i doppi lati del nostro carattere (ognuno ne ha). Rappresenta la famosa teoria del doppio, trattata in tanti romanzi e film (avete presente "Il cigno nero"? o il più recente "The neon demon"?). E così, il testo è un susseguirsi di descrizioni appena accennate ed in contrapposizione, dove i volti della gente cambiano ("All the faces all the voices blur - Change to one face change to one voice"), e dove nell'ora in cui ci si prepara per andare a dormire una luce sembra apparire sul muro in tutto il suo chiarore ("Prepare yourself for bed, the light seems bright and glares on white walls..."). Clare sente dentro sè stessa la presenza di Charlotte, ricorda altri tempi ed altre scene di vita, e a volte, sì, lei E' veramente Charlotte anche se solo in sogno ("Sometimes I'm dreaming where all the other people dance...Sometimes I'm dreaming Charlotte sometimes..."). Al di là dell'inquietudine derivante dal tema trattato, e riproposto in musica con classe e genialità dai Cure, raramente ci si trova ad ascoltare canzoni che oltre ad essere davvero belle ed orecchiabili, sono anche opere d'arte che raccontano una storia per immagini, proprio come in un dipinto. "Charlotte sometimes" lo è a tutti gli effetti, e le parole di Robert Smith sono i tratti di pennello che illustrano il racconto in modo criptico e appena intuibile, lasciando libera interpretazione al suo affresco.


4 - LOVESONG (1989)
"Lovesong" è un altro classico tratto da "Disintegration", ed è sicuramente il pezzo più vicino al pop tra quelli che ho scelto. Questo però non è un difetto, perchè i Cure si erano già spinti verso territori più commerciali in passato ("Close to me" e "The lovecats" ne sono due esempi). Qui però, riescono ad alzare il tiro, riuscendo nell'intento di abbinare l'atmosfera lugubre e piuttosto cupa dell'album con un qualcosa di vagamente più radiofonico ed accessibile (cosa che fa emergere "Lovesong" sia di fronte alle già citate proposte commerciali della band, sia su quelle che lanceranno qualche anno più tardi, su tutte la spavalda ed eccessivamente euforica "Friday I'm in love"). 
Ad un'analisi più attenta, infatti, nonostante la tematica sia abbastanza scontata (lo dice il titolo, è una vera e propria dedica d'amore, scritta da Smith come "regalo di nozze" per la moglie), "Lovesong" mantiene le tetre sonorità dei lavori più oscuri del gruppo (la meravigliosa tastiera simil-organo che accompagna sin dall'apertura le strofe ne è un chiaro esempio), concedendo un minimo di apertura solo nel ritornello. E così, Robert racconta di come si senta a casa, più vivo e più giovane accanto alla sua amata ("Whenever I'm alone with you, you make me feel like I am home again..."), e nonostante spesso sia costretto alla lontananza (le ragioni sono ovvie, i tour, la promozione dei dischi e quant'altro), egli la rassicura dicendole che la amerà comunque per sempre ("However far away I will always love you. However long I stay I will always love you..."). 
L'atmosfera complessiva ha un non so che di dimesso, di tenebroso, la voce è quasi distante ed indolente; eppure regala un effetto spettrale all'insieme, che funziona alla grande. Le chitarre impreziosiscono l'arrangiamento prevalentemente tastieristico, dove ancora una volta le note si inseguono e si concatenano creando un background sonoro davvero eccellente che rende il brano un perfetto ibrido fra rock malinconico, pop elettronico e new-wave.


5 - ONE MORE TIME (1987)
Ecco un altro pezzo che avrebbe potuto finire nella seconda playlist e che invece all'ultimo ho inserito qui. Poco conosciuto ai più, questo lento meraviglioso dalla lunga apertura strumentale è un vero e proprio manifesto d'amore interpretato in modo intenso e struggente, un autentico piacere per le orecchie (ed una pugnalata al cuore, tutte le volte che si arriva al punto in cui Smith canta "Take me in your arms tonight...Take me in your arms just one more time..."). Tratta da "Kiss me Kiss me Kiss me", sembra piazzata lì quasi per caso - il disco è un coacervo di sonorità punk, rock, psichedeliche e persino funk - e forse proprio per questo ha più "presa" in quel contesto, al momento dell'ascolto; non è quindi un pezzo scontato, e nemmeno commerciale, però è senz'altro uno dei brani più romantici e commoventi dell'intera discografia dei Cure. La chitarra acustica abbinata all'onnipresente tappeto di tastiere crea un insieme atmosferico,rarefatto e molto intimo, tipico anche delle produzioni a venire del gruppo (la successiva "Last dance" del solito "Disintegration" e la più recente "The loudest sound" pubblicata su "Bloodflowers", sono dirette discendenti di questo splendore). Per chi conosce solo i grandi successi dei Cure, questo è uno di quei pezzi da andare a recuperare immediatamente.


Come immaginavo, oltre alle cento cose che avrò dimenticato di dire su questi brani, percepisco chiaramente l'incompletezza di una selezione del genere. E quindi, questa playlist deve per forza essere implementata dalla seconda, che ho voluto intitolare "Underrated treasures" ("Tesori sottovalutati"); Forse, dopo aver snocciolato altre 5 perle della sconfinata discografia della band di Robert Smith, questo senso di "incompiuto" avrà trovato la sua "cura", e sarà più sopportabile.

(R.D.B.)

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