lunedì 22 aprile 2019

TRE SFUMATURE DI METALLO: IL TEATRO DEI SOGNI, UNA LUNA IMMAGINARIA E LA BESTIA DALL'INFERNO

TRE SFUMATURE DI METALLO:
IL TEATRO DEI SOGNI, UNA LUNA IMMAGINARIA E LA BESTIA DALL'INFERNO

Che fosse un anno piuttosto caldo per il metal lo si era già capito dall'annuncio del nuovo album dei Dream Theater, dal ritorno dei Within Temptation con un album nuovo di zecca e di King Diamond con un doppio live incentrato sullo storico capolavoro "Abigail".
In questo 2019, inoltre, cadono diversi anniversari di lavori seminali - sia in ambito black metal che power - e sono certo che le sorprese non mancheranno tra ristampe e nuove proposte, perchè la scena metallara è in continuo fermento; e così, mentre qualcosa di già previsto, come l'attesissimo nuovo capitolo della saga del supergruppo Avantasia annunciato mesi fa da Tobias Sammet (frontman degli Edguy ed ideatore e realizzatore del progetto) è arrivato sugli scaffali, i Cradle of Filth stanno ultimando una celebrazione per il loro capolavoro "Cruelty and the beast", ed i Rammstein preparano un ritorno sulle scene in grande stile; puntare su questi nomi vuol dire giocare sul sicuro,  ma bisogna sempre guardarsi intorno e non aver paura di ascoltare cose nuove. 
Vi garantisco che le sorprese sono sempre dietro l'angolo.
In questa rapida disamina di tre dischi appena sfornati e che hanno tutte le carte in regola per diventare dei nuovi classici del genere, troverete tre sfumature diverse di metallo:il progressive - divenuto più hard - degli storici Dream Theater, il power-fantasy del nuovo capitolo della saga Avantasia ed il pop/hard rock dei Beast in Black, una di quelle incognite che si trasformano in rivelazioni.

DREAM THEATER - DISTANCE OVER TIME (2019)
LABEL : INSIDE OUT/SONY MUSIC
FORMAT : 2 X SILVER VINYL SET


I Dream Theater non hanno bisogno di presentazioni:sono i maestri indiscussi del progressive metal, lavori come "Images and Words" e "Metropolis part II" sono entrati nella storia, e sebbene gli ultimi dischi siano stati più un'autocelebrazione degli inarrivabili e geniali virtuosismi di John Petrucci e soci che album da tramandare ai posteri, l'arrivo di un nuovo platter dopo tre anni di silenzio va sempre salutato con enorme piacere. Il fatto che James LaBrie lo abbia presentato come un'opera più "metal-oriented" dei precedenti, mi ha incuriosito non poco:e le aspettative non sono state deluse.
Molti storceranno il naso di fronte a "Distance over time", e già mi aspetto le critiche dei soliti puristi che diranno e scriveranno in ogni dove che i Theater si sono venduti perchè il disco in questione è "commerciale". In realtà, pur essendo indubbiamente più accessibile ed a prima vista meno elaborato e tecnico rispetto ai lavori del passato, resta un gran bel disco con pochi punti morti, che non rinuncia agli arcinoti virtuosismi:ascoltare un album intero dei Dream Theater non è mai semplice, ed a volte sentirne uno da cima a fondo senza pause è un lavoro piuttosto indigesto. Ebbene, sappiate che "Distance over time" invece, si assimila senza troppe fatiche, e si lascia suonare nella sua interezza con estremo piacere.
La quattordicesima opera del combo statunitense è stata registrata nell'arco di poche settimane in cui la band si è riunita, e rinchiusa giorno e notte, in un fienile situato nei sobborghi di New York; ciò è servito, a detta dei membri della band, a realizzare un disco più immediato, più diretto rispetto al concept del precedente "The astonishing", che ha richiesto ben tre anni di lavorazione.
L'album si apre con la sorprendente "Unthetered angel", capace di cambiare registro ben tre volte nel giro di pochi secondi:da un intro delicatissimo ed etereo, si arriva prima ad una sferzante scarica di chitarra elettrica per poi introdurre il mid-tempo portante dell'intero pezzo, che lancia la voce di LaBrie in un ritornello coinvolgente e immediatamente identificabile. Un suggerimento per i fans più accaniti:pare che nell'edizione "super deluxe" del disco - quella con box, cd, dvd, vinile, tappetino per il mouse e altre attraenti diavolerie - ci siano anche le piste audio di ogni singolo strumento, per "giocare" a remixare la canzone. Il singolo "Paralyzed" è una killer-track, anch'essa diretta e molto orecchiabile, senza tralasciare il giusto impatto "hard":la batteria di Mike Mangini picchia duro (sentitevi ad alto volume i primi secondi e godete) e non molla di un centimentro neanche quando LaBrie attacca la prime strofe, che si aprono in un refrain arioso e di grande effetto:
"The anger, the pressure
You're choking down your words again
Feel the nerves set in
Unspoken frustration
They see right through you
Paper thin, like the ghost within
A heart that feels no pain
Addicted to the game
Breaking beneath the strain
I am paralyzed..."
Il testo, in forte contrasto con la musica è ansioso e asfissiante, mera descrizione di un soggetto succube del sistema, che si sente sopraffatto e frustrato dalla rabbia e dalla pressione che ne derivano, fino a sentirsi invisible e paralizzato. L'assolo di Petrucci sul finire del brano è da brividi, nonostante non si discosti da tanti altri già proposti in passato; è ciò che i Dream Theater si erano prefissi per questo disco, ed è il contesto che qui fa la differenza e chi ne è l'autore. "Barstool warrior" regala i primi veri cambi di tempo tipici del prog, senza però perdere una certa accessibilità all'ascolto,  mentre "Falling into the light" è un'altra cavalcata in puro stile metal, forse il pezzo più vicino allo stile Dream Theater e quindi - probabilmente - quello che metterà d'accordo anche gli immancabili detrattori.
Tra gli highlights dell'album sono sicuramente da annoverare "At wit's end" (il primo brano composto per il disco)  e forse il più elaborato dell'intero lotto, e soprattutto la dolcissima "Out of reach". 
Per chi come me ama le ballads, certe melodie sono quanto di meglio si possa andare a pescare nella cerchia del metal d'autore, troppo spesso etichettato come "rumoroso" e cantato da "strillatori". 
"Out of reach" entra di diritto tra i migliori brani dell'intera produzione dei Theater (almeno, per il sottoscritto), vuoi per la melodia sognante, vuoi per il testo, che è una vera e propria ammissione di amore per una donna capace di elettrizzare il protagonista, che ne percepisce altresì la sofferenza dietro il sorriso e l'incapacità di ritrovare la serenità perduta:
"Sadness in her smile, your love, it's been a while
Near and far away, she chases it each day
A promise to come back, all the while, still waiting
Seems it lost its way
Out of reach, just too hard to reach
You're letting your love slip away..."
Il gran finale, se vogliamo ancor più dolce, raffinato ed elegante, è nobilitato da una riuscitissima prova vocale di LaBrie simile a quella della splendida "Through her eyes". Il disco regala anche un'ulteriore brano bonus, "Viper king", possente, carico e dal ritornello magnetico, che  rafforza e dà ancora più corpo all'intero lavoro.
"Distance over time" è quindi un lavoro gradevolissimo ed assolutamente valido, che oltre a segnare il ritorno sulla scena di un'autentica leggenda del signor metallo, ci offre un'ulteriore evoluzione della stessa, forse meno ricercata e stilizzata, ma di certo più grezza e per questo, più diretta ed avvicinabile.
VOTO: 7/10
BEST TRACKS:"UNTETHERED ANGEL", "PARALYZED", "OUT OF REACH", "VIPER KING".



TOBIAS SAMMET'S AVANTASIA - MOONGLOW (2019)
LABEL:NUCLEAR BLAST
FORMAT: 2 X MARBLED VINYL SET

Se nel corso degli anni, sin da quando è stato creato il progetto Avantasia (nome che nasce dalla fusione delle parole "Avalon" e "Fantasia", definendo così un "mondo al di là dell'immaginazione umana"), la créme de la créme del metal si è succeduta a dar man forte all'ideatore Tobias Sammet, evidentemente qualcosa di speciale, di sublime e del tutto originale in questa proposta c'è, e c'è stato anche in passato. Ho sempre visto gli Avantasia come una "nazionale", dove di volta in volta Sammet convoca i migliori artisti metal in circolazione per dar vita ad un progetto titanico, unico nel suo genere; ai microfoni ed agli strumenti si sono succeduti, in passato, membri degli Helloween, Stratovarius, Rhapsody, Angra, Within Temptation, Virgin Steele e Kamelot, e ciò ha fatto di ogni release targata Avantasia un evento imprescindibile per chi segue ed ama il metal. Presenza costante, al fianco di Sammet (come detto, già frontman degli Edguy), è quella di Hansi Kursch (leader dei Blind Guardian), che anche in questo "Moonglow" ritroviamo in più brani, sia come voce portante, sia come accompagnamento ai cori. I dischi degli Avantasia non hanno mai tradito le aspettative, e si possono comprare a scatola chiusa con l'assoluta certezza di non rimanerne delusi. Il discorso vale ovviamente anche per questo nuovo capitolo che va ad aggiungersi alla saga discografica del supergruppo:l'apertura è affidata ad una suite lunghissima (quasi dieci minuti) intitolata "Ghost in the moon", interamente interpretata da Tobias Sammet che con la sua riconoscibilissima tonalità vocale ci introduce al concept generale del disco, il cui titolo è ispirato dal fascino di Sammet per la luna.
La title track, che vede la partecipazione di Candice Night (moglie di Ritchie Blackmore e vocalist dei Blackmore's night)  ricorda pericolosamente "Moonlight shadow" di Mike Oldfield. Non si tratta di plagio, ma di citazione ed omaggio, ed il pezzo funziona alla grande risultando, alla resa dei conti, il migliore dell'intero lotto:
"A lunar light into your room
Let it carry you into the night
Moonglow, let it take you away
The road aflame
Fooling gravity, you follow the light
Moonglow, Moonglow
To the other side
All you're told to comprehend
And put in place and understand is gone
In this enchanted magic light..."
Si narra la storia di una creatura notturna che lotta per combattere il proprio disagio interiore, la propria diversità, e la mancanza di coraggio per affrontare la bellezza del mondo; si rifugia così nell'oscurità della notte, dove l'unico fascio di luce lunare la cela agli occhi delle persone e delle altre creature.
"Moonglow" tornerà più avanti a ripescare a mani basse nella musica del passato:tra le bonus tracks, infatti, spicca la cover di "Maniac", super hit di Michael Sembello che risale al 1983 ed è tratta dal film "Flashdance".
Per uno come me, che a quegli anni ottanta in musica è legato a doppio filo, un ripescaggio del genere viene visto quasi come un evento (ed infatti, ammetto di essere andato ad ascoltarla subito, tanta era la curiosità di assaggiarla in salsa metallara).
Sia chiaro che quest'opera non si limita ad attingere dal passato - come nei due pezzi sopra citati - senza proporre qualcosa di moderno ed innovativo; "Moonglow" é un disco assolutamente da non perdere, sia per la qualità sonora ed il songwriting di altissimo livello (Tobias Sammet é ormai una garanzia, non sbaglia un colpo), sia per la parata di guest star che si sono divise equamente la scena, in una selezione di pezzi di assoluto valore; prendiamo ad esempio la splendida cavalcata "Starlight", che vede al microfono Ronnie Atkins dei Pretty Maids:la voce graffiante si plasma con classe in un pezzo che merita di essere sparato a tutto volume sullo stereo, senza se e senza ma.
I due brani interpretati da Sammet con Geoff Tate (ex cantante dei Queensryche), poi, sono altri due esempi di quanto il monicker Avantasia sia capace di regalare momenti di assoluto valore:"Alchemy" gioca sulle strofe per quasi tre minuti prima di aprirsi in un ritornello possente e splendidamente riuscito, mentre "Invincible" è una toccante ballad orchestrale, talmente carica di pathos da far venire i brividi lungo la schiena. E quando succede qualcosa del genere, tanto di cappello all'autore, perchè ha già vinto a mani basse. Impossibile non citare anche "Lavender", che vede Bob Catley dei Magnum in veste di ospite:questo episodio è un altro agglomerato di stampo più hard-rock che metal, con un ritornello assassino che entra in testa sin dal primo ascolto. Michael Kiske (ex-Helloween) è un altro veterano del progetto Avantasia, e partecipa a "Requiem for a dream", uno speed-metal che ricorda da vicino certe produzioni storiche delle zucche germaniche (su tutte "Future world" e "I want out"). Ritroveremo Kiske, insieme ad Hansi Kursch, Tate, Atkins e Mike Petrozza dei Kreator in "Book of shallow", che sarebbe un pezzo come tanti altri se non fosse che a parteciparvi ci sia il gotha del metal fatto persona. Come potrete intuire, quindi, di carne al fuoco ce n'è abbastanza da spellarsi le mani e tra tanto ben di dio, diventa difficile persino scegliere un altro brano tra i preferiti in assoluto oltre alla title track.
Per di più, con questa nuova fatica di Sammet, avrete l'occasione di portarvi a casa anche una splendida copertina - chiaro omaggio ai cartoni animati di Tim Burton - e nel caso siate vinil-maniaci come chi sta scrivendo questa recensione, potrete andare a pescare un meraviglioso doppio disco verde marmorizzato (quello in foto) che fa la sua sporca figura sul piatto, e che è solo una variante tra le tante proposte in edizione limitata.
VOTO: 8/10
BEST TRACKS:"MOONGLOW", "INVINCIBLE", "STARLIGHT", "LAVENDER", "GHOST IN THE MOON", "ALCHEMY".



BEAST IN BLACK - FROM HELL WITH LOVE (2019)
LABEL:NUCLEAR BLAST
FORMAT: 2 X WHITE VINYL

Spesso, faccio una passeggiata su youtube per vedere i video appena pubblicati, e tenermi aggiornato sulle uscite discografiche in arrivo. Seguo diversi canali, ed uno dei miei preferiti é senz'altro quello della Nuclear Blast, casa discografica teutonica interamente dedicata alla distribuzione di prodotti metal ed autentica miniera d'oro per chi cerca un pó di sana musica heavy. Capita, così, di imbattersi anche in gruppi mai sentiti prima e di scoprire novità allettanti (non sempre va così, spesso si becca anche robetta mediocre), ed é in questo modo che sono andato a scovare questi Beast in Black.
Ció che mi ha incuriosito é stata la presenza scenica del frontman (pelato e con la barba) ed il titolo del video "From hell with love" - che é anche quello del disco - un contrasto di significati che lasciava presagire una certa accessibilità sonora, più classica ed orecchiabile, per intenderci, e non black, death o trash metal.
Certo, i primi secondi di elettronica da videogame vintage non me li sarei mai aspettati:quel tappeto, che a mio avviso é ispirato (deve esserlo per forza) da qualche vecchio gioco dell'Amiga o del Nintendo, viene dopo 4/4 immediatamente doppiato da una possente chitarra di chiaro stampo hard-rock, che completa il tuffo negli anni ottanta. Strofe e ritornello sono terribilmente orecchiabili - roba che il pop attuale si sogna, davvero - ed il mio pensiero é stato subito chiaro:se questi passassero in radio spaccherebbero di brutto.
Mi é sembrato quindi d'obbligo andare ad ascoltare l'album, convinto di trovarmi in un ambiente a me consono:vado sempre a cercare melodia anche negli act più estremi, e la mia impressione non é stata smentita. Se i Ghost sono commerciali e rasentano i confini AOR e pop, beh, lasciatemelo dire:questi Beast in Black quelle barriere addirittura le abbattono. "From hell with love" é una commistione di tante entità musicali, che in un modo o nell'altro funzionano e rendono il lavoro nel complesso molto più che accettabile, tanto da convincermi a non farlo mancare nella mia collezione.
Prendiamo "Die to the blade", altro esempio completamente ispirato agli anni ottanta:sembra di trovarsi al cospetto di una colonna sonora di quel periodo d'oro, da Top Gun (l'autore della quale è il mitico Harold Faltermeyer, che curò anche le musiche di Beverly Hills Cop), a "La storia infinita" (di Giorgio Moroder), per arrivare al già citato "Flashdance" (Avantasia docet, e non può essere un caso neanche quello). L'omaggio ad uno stile musicale retrò è palese, ed in piena epoca revival - dalla musica fino alle serie tv ("Stranger things" vi dice qualcosa?) la proposta dei Beast in Black non fa altro che cavalcare l'onda del ripescaggio nostalgico. Certo, il ritornello ricorda paurosamente quello di "Blood red sandman" dei Lordi e ciò può indurre a pensare che il gruppo finlandese sia anche furbetto e fin troppo scaltro. Però cattura sin dalle prime note, e prima ancora che finisca la canzone (al primo ascolto, eh) ti ritrovi a fischiettarla, come se fosse un grande classico già edito in un'altra epoca.
"From hell with love" è una proposta tamarra, se vogliamo, in bilico tra elettronica e hard rock dal forte indirizzo commerciale che punta tutto sul primo impatto; probabilmente fra due mesi, sovrastato da lavori di ben altra portata e longevità, questo platter finirà nel dimenticatoio, come uno schiacciapensieri (con cui tutti, da fanciulli, abbiamo avuto a che fare) al cospetto di un Megadrive , o di un Super Nintendo (per rimanere in tema di rievocazione ottantiana).
Intanto, però, eccolo lì in mezzo agli altri dischi del sottoscritto, in versione vinile bianco (avevate dubbi che non lo avrei cercato in versione colorata?) che inanella una serie di solchi facili da digerire come un bicchiere d'acqua. Cosa non di poco conto:se vi sparate in cuffia qualche brano di questo disco mentre fate jogging, o in palestra, è garantito:spacca di brutto. A dar ulteriore manforte a questo pensiero, sappiate che nel disco troverete persino una copver di "No easy way out". Sì, proprio quella di Robert Tepper. L'avrete ascoltata un milione di volte, mentre Rocky aspettando l'imminente match con Ivan Drago, monta in macchina ed immagina il viso del suo avversario nello specchietto retrovisore.
Morale della favola:se vi piace il metal iper-melodico, concedetegli una possibilità. 
Se siete metallari fino all'osso, elitari, integralisti, sporchi, brutti, cattivi, con la barba lunga e la stessa maglietta dei Megadeth da una settimana, lasciate perdere. Ma non definite gruppi come questi "merda", perché stanno portando all'intero movimento una visibilità che potrebbero renderlo più mainstream e non solo di nicchia.
E la visibilità, per un filone troppo spesso sottovalutato, non é per forza un male.
VOTO: 6,5/10
BEST TRACKS:"FROM HELL WITH LOVE", "DIE BY THE BLADE", "KILLED BY DEATH", "OCEANDEEP".

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