domenica 30 giugno 2019

LIVE IN CONCERT - FIRENZE ROCKS 2019 - EDDIE VEDDER + THE CURE + GLEN HANSARD + NOTHING BUT THIEVES

FIRENZE ROCKS 2019:
VISARNO ARENA, FIRENZE
15 GIUGNO:
EDDIE VEDDER + GLEN HANSARD + NOTHING BUT THIEVES
16 GIUGNO:
THE CURE + SUM 41 + EDITORS + BALTHAZAR



Anche quest'anno il festival più rock di tutta Italia, il Firenze Rocks, ha portato in Italia alcuni degli artisti più famosi ed iconici della musica internazionale. Non è un caso che ormai questa manifestazione venga annoverata tra le più importanti di tutta Europa, forte anche degli oltre 350000 spettatori attratti dall'edizione precedente che ha visto alternarsi sul palco gente del calibro di Ozzy Osbourne, Guns'n'Roses, Foo Fighters, Aerosmith, Iron Maiden e System of a Down.
L'idea iniziale era quella di andare a vedere, finalmente, i Cure di Robert Smith, inseguiti da tanto tempo e mai visti con i miei occhi dal vivo; l'occasione era troppo ghiotta, e già di per sè rappresentava un piccolo sogno nel cassetto da poter trasformare in realtà. Più avanti, scoprirete anche come la band inglese sia riuscita ad esaudire un secondo sogno che custodivo gelosamente nel cuore. I Cure hanno chiuso il festival nella terza serata, ed era stato il primo gruppo ad essere aggiunto al programma del festival. Qualche giorno dopo, la scaletta dei vari giorni ha preso forma, ma l'annuncio come artista di punta della seconda serata di Eddie Vedder è sembrato come un calcio da rigore da tirare a porta vuota:con un piccolo sforzo economico non si poteva perdere il frontman dei Pearl Jam in versione solista; e così, l'idea di un concerto si è evoluta in una due giorni dall'altissimo contenuto musicale davvero difficile da dimenticare.
Ma andiamo con ordine, con una premessa:il Firenze Rocks è stato aperto, venerdì 14 giugno, da Ed Sheeran; ci sono state molte critiche per questa scelta, perchè molti hanno etichettato l'istrionico musicista, autore e produttore come "artista poco rock". Questi detrattori lamentosi, non hanno capito la vera essenza della parola "rock", ed in genere lo spirito di festival come questi:la musica è musica, che sia pop, metal, rap, jazz o quello che vi pare; i generi servono per distinguere un determinato tipo di proposta, o al massimo per orientarsi all'interno di un negozio di dischi; non per escludere, non per schematizzare, non per suddividere il mondo delle sette note. Mi pare evidente che ci sia sotto anche un discorso commerciale (Ed Sheeran è l'artista del momento, ed ha richiamato una folla di gente tale da battere il record di tagliandi strappati di tutti gli anni precedenti alla Visarno Arena), ma la parola "rock" va intesa come generica, come sinonimo di "musica", in ogni sua forma, in ogni sua sfaccettatura e quindi in ogni suo genere; quindi se chiederete al sottoscritto se Ed Sheeran è rock, la risposta mi pare ovvia:certo che è rock!
Ma non sono qui per parlarvi di ciò che non ho visto, anche se le opinioni generali ed i commenti di chi ha vissuto la prima serata sono stati unanimi:pare che il buon Ed abbia incantato i presenti con uno spettacolo ben riuscito e di altissimo profilo.
Vediamo quindi cosa ne è stato delle altre due giornate, passate sotto un caldo canicolare, spesso seduti su un telo in mezzo all'erba (roba che fa molto Woodstock) mentre il sole lentamente si abbassava per lasciar spazio a delle notti illuminate da una splendida luna e da dolcissime note fluttuanti nell'aria.

NOTHING BUT THIEVES:
La band di Conor Mason ci ha "costretto" a dover affrontare una giornata più lunga del solito; nel bel mezzo del pomeriggio, i Nothing But Thieves hanno presentato una scaletta scarna ed - ahimè - un pò mozzata a causa dei tempi ristretti (circa un'ora) che avevano a disposizione; e così, pezzi meravigliosi come "Graveyard whistling", "Last orders" e "Lover, please stay" purtroppo sono stati tagliati in favore di una selezione incentrata sull'ultimo lavoro del gruppo inglese, "Broken machine" e del recentissimo E.P. "What did you think when you made me this way?". C'è stato spazio per tre classici del loro repertorio, "Trip switch", "Ban all the music" e "Wake up call", sebbene dal vivo abbiano reso meglio le varie "I was just a kid", "Sorry" e soprattutto "Amsterdam", posta in chiusura, che ha fatto cantare e saltare diversa gente tra la folla accaldata; peccato che proprio sul bello siano evaporati, con l'aggiunta di un paio di canzoni avrebbero reso più giustizia ad una performance comunque sufficiente, che ha comunque messo in rilievo le qualità e le potenzialità del gruppo di Southend-on-sea.  (VOTO:6/10)

GLEN HANSARD:
Ammetto di essere rimasto un pò interdetto all'arrivo sul palco di Glen Hansard, cantautore e attore irlandese di cui non avevo mai sentito parlare prima. Una rapida ripassata su internet mi ha fatto scoprire che oltre ad aver interpretato ruoli in film come "The Commitments" e "Parenthood", Hansard è anche voce e chitarra del gruppo rock "The Frames". La sua proposta solista non si discosta dai dettami della sua band, ma è, se vogliamo, più intima ed orientata verso il folk ed il blues.
Il mio è un giudizio complessivo, non conoscendo i brani da lui proposti; la gran voce, senza dubbio, e le sue ottime interpretazioni in fase "live" salvano quello che, ad un ascolto superficiale, sembra uno stile un pò troppo massificato. Andrò a ripescare qualche suo lavoro da studio, e solo allora potrò esprimere un giudizio più assennato e dettagliato. (VOTO:5,5/10)

EDDIE VEDDER:
E' un Eddie Vedder in grandissima forma quello che si presenta alla Visarno Arena; la sua capacità di interagire con il pubblico, conquistandolo, è seconda soltanto al suo talento. Slegato dai Pearl Jam, Vedder offre uno spettacolo sontuoso, toccante ed intimo in totale solitudine:unico supporto sono quattro chitarre, un ukulele ed un quartetto d'archi che lo accompagna nel cuore del concerto, quando si raggiungono vette sublimi coon un'interpretazione di "Black" da brividi, in un'atmosfera mozzafiato governata da una luna piena che è autentica poesia per l'anima. Oltre alla già citata "Black", in scaletta trovano posto diversi classici dei Pearl Jam, da "Wishlist" a "Immortality" fino ad arrivare a "Pork", "Better man" (altra interpretazione maiuscola, intonata da tutta l'arena) e l'immancabile "Alive" che apre i bis. In mezzo, tanta, tantissima roba:un omaggio a Tom Petty, scomparso da poco, ed un pensiero per un altro grandissimo personaggio, Franco Zeffirelli, venuto a mancare proprio in questi giorni.  
Glen Hansard torna sul palco per duettare in un paio di brani, tra cui "Society" (tratta dalla colonna sonora di "Into the wild") e per una singolare sfida a suon di chitarre con Vedder:l'affiatamento tra i due é qualcosa che calamita applausi a scena aperta. In precedenza, il pubblico aveva potuto ricordare il film anche grazie alla toccante "Far behind", per poi divertirsi sulle note della cover dei Clash "Should I stay or should I go". Un altro omaggio è dedicato ai Pink Floyd, con l'interpretazione di "Brain damage" fino alla chiusura, epica e magnificente di "Keep on rockin' in a free world", storico brano di Neil Young che è diventato l'emblema della vena rock di tante generazioni. 
Vedder offre oltre due ore di concerto da "one-man show", lasciando il pubblico in visibilio dopo essersi scolato l'immancabile bottiglia di vino. E come del buon vino, lui più invecchia e più diventa buono. (VOTO:8,5/10)

BALTHAZAR:
Questa band non sembrava niente male, ma ripresentarsi sin dal pomeriggio sotto il sole cocente era davvero proibitivo:per quel poco che ho potuto ascoltare sotto l'ombra di un albero fuori dall'arena, i Balthazar non sono niente male, ed andranno studiati con calma. L'indie-pop del gruppo belga sembra di ottima fattura, e su tutti mi ha colpito un brano (il cui titolo è "Wrong vibration") che è un bilanciatissimo miscuglio tra brit-pop e wave stile Cure e Joy Division dal vago gusto retrò.  (VOTO:-/-)

THE EDITORS:
Per le stesse ragioni dei Balthazar, mi sono limitato ad ascoltare distrattamente anche gli Editors rimanendo al fresco del prato fuori dall'arena. Ed anche per loro vale lo stesso discorso, buona musica tutta da scoprire, e tornare a casa con il nome di due gruppi nuovi da studiare è un graditissimo regalo per un cacciatore di musica come il sottoscritto. (VOTO:-/-)

SUM 41:
Finalmente decidiamo di entrare e di prendere il posto più congeniale per farci incantare da Robert Smith e soci. Peccato però che prima salgano sul palco i Sum 41, e qui lo devo dire:che sfortuna! Avrei preferito mille volte sentire meglio e vedere i due gruppi precedenti piuttosto che i punksters canadesi. Sentita una canzone, le hai sentite tutte. Ogni loro pezzo sembra fatto con lo stampino, e non è che poi il loro genere sia capace di chissà quali voli pindarici o virtuosismi tecnici. Tengono compagnia per più di un'ora con un punk talmente standardizzato e sentito mille volte da mille altri gruppi diversi, senza un sussulto, senza un'idea di qualcosa che faccia dire, almeno una volta, "ah beh, mica male questa". Niente. L'unica cosa da ricordare? uno scheletro gigante che si materializza sul palco mostrandoci il dito medio. Bocciati senza appello, ed a questo punto difficilmente mi sentirete parlare di nuovo dei Sum 41 su questo blog.  
(VOTO: 4/10)

THE CURE:
La ciliegina sulla torta di questi due giorni all'insegna del rock sono loro, i Cure di Robert Smith, che con una scaletta-fiume di quasi tre ore ripercorrono un pò tutta la carriera trascinando immediatamente il pubblico in un vortice sonoro che si apre con "Shake dog shake" e "Burn", meraviglioso pezzo tratto dalla colonna sonora de "Il corvo" (sì, proprio quello di Brandon Lee, il primo, unico ed inimitabile). Sono innamorato di questa canzone sin dalla sua uscita, nel 1994, ed a distanza di venticinque anni non mi sono ancora stancato di ascoltarla. Inoltre, The Crow è il mio film preferito in assoluto, e quindi potrete immaginare la soddisfazione di aver avuto l'occasione di sentirla, finalmente, dal vivo:il desiderio di cui parlavo prima è stato dunque esaudito subito. 
La setlist offre diversi momento memorabili:"A night like this" arriva proprio al calar del sole, mentre la luna (la stessa diella serata prima su cui le note di Eddie Vedder avevano preso vita) si affaccia prima timida, poi sempre più luminosa, accompagnata dalla successiva "Pictures of you" che conquista definitivamente il pubblico. Il boato del pubblico si ripresenta sull'incipit di "Lovesong", mentre in "Last dance" l'atmosfera diventa poetica e malinconica:Robert Smith si avvicina alla gente, spostandosi sul lato sinistro del palco, ed i fans che già esultano ad ogni suo minimo gesto, impazziscono. Il suo carisma gli permette di conquistare la gente anche con dei sorrisi e delle smorfie apparentemente di poco conto. A differenza di Eddie Vedder, capace di interagire con molta naturalezza, Smith ci mette quasi un'ora per scrollarsi di dosso quell'impaccio che gli è caratteristico, e che lo fa sembrare timido ed alienato. 
E così si va avanti, tra hit storiche ("Fascination street" e "Never enough") e brani più ricercati ("Push" e "Wendy time") fino alla suggestiva "A forest", che galleggia nel cielo notturno, oscura ed introspettiva fino all'esplosione finale che fa gridare il pubblico "again and again and again" all'infinito. 
I fuochi d'artificio arrivano tutti (o quasi) con i bis:"Lullaby" (poteva mancare?), "The walk", "Friday I'm in love", "Close to me" e "Boys don't cry". Una sorta di secondo concerto tutto orientato al pop, capace di divertire e conquistare definitivamente il pubblico, che lascia l'arena appagato e con la consapevolezza che sì, i Cure meritano di stare lì, da headliner, tra i più grandi di sempre. 
(VOTO:9/10) 

(R.D.B.)

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