domenica 16 aprile 2017

RECENSIONE:RED HOT CHILI PEPPERS - THE GETAWAY (2016)


RED HOT CHILI PEPPERS - 
THE GETAWAY (2016)
LABEL : WARNER BROS.
FORMAT : 2 LP LIMITED PINK VINYL SET
(TEN BANDS ONE CAUSE EDITION)





"Sarà un album diverso, dove sperimenteremo un nuovo sound, più vicino al funk e all'R&B". 
Questo è ciò che avevano detto i Peppers mesi prima che venisse distribuito "The getaway", undicesima fatica in studio del combo californiano. L'idea di chiamare Danger Mouse (co-creatore dei Gnarls Barkley, e già dietro le quinte di alcuni lavori di Beck e Gorillaz) a produrre, aveva dato credito a questa sterzata, che sinceramente preoccupava non poco il sottoscritto. 
Le ultime uscite dei Red Hot, infatti, non erano state un granchè:"Stadium Arcadium" era un'enorme accozzaglia di suoni ripartita in due cd, dispersiva e caotica (ma che qualcosa di buono aveva tirato fuori), mentre "I'm with you" è stato un album sottotono, privo di spunti da tramandare ai posteri e forse il peggiore della loro intera carriera. Di certo, l'abbandono improvviso di John Frusciante (il chitarrista, poi rimpiazzato da Josh Klingenhoff) e quello calcolato di Rick Rubin (produttore di capolavori come "Californication" e "Blood sugar sex magik"), ebbero all'epoca la loro influenza negativa sulla riuscita del lavoro, che tuttavia non giustificava tanta apatìa e piattume.
Quindi, a distanza di 5 anni, pensare di cambiare rotta proponendo qualcosa di nuovo ed ormai un pò lontano dallo stile Peppers, non solo mi aveva fatto storcere un pò la bocca, ma aveva contribuito a farmi sentire ancora di più orfano di quei meravigliosi lavori che mi avevano fatto innamorare della band di Kiedis.
Per fortuna i nostri non hanno tenuto fede alle loro stesse parole, perchè "The getaway" è a tutti gli effetti un disco dei Red Hot Chili Peppers vecchia maniera, che ricalca gli schemi ben noti che li hanno resi famosi e li riallaccia quantomeno al discorso interrotto con "Stadium Arcadium", lavoro in cui erano state lasciate le ultime tracce significative di quel sound che li ha resi famosi in tutto il mondo.
Quando, il 5 maggio di un anno fa, "Dark necessities" fece capolino su youtube e nelle radio, ricordo di aver tirato un sospiro di sollievo:non era una sperimentazione priva di senso quella che stavo ascoltando, ma un piacevole ritorno alle sonorità tipiche dei peperoncini, che ai più potranno sembrare la solita minestra riscaldata, mentre in realtà è semplicemente il loro stile.
"Dark necessities" è un grande brano, per tanti motivi:prima di tutto è costruito interamente su strofe e ritornelli orecchiabili, e poi porta con sè una buona dose di spensierata malinconia; potrebbe sembrare un controsenso, eppure è proprio quella la sensazione che è riuscito a trasmettermi:vuoi per quelle chitarre su cui si appoggiano i rintocchi di pianoforte, vuoi per la voce cadente di Anthony Kiedis, "Dark necessities" ha sia i crismi per essere una canzone da suonare in uno springbreak californiano, sia la pacatezza per essere ascoltata placidamente d'estate in cuffia, nelle ore più calde sotto un ombrellone, in quella calma post-pranzo da spiaggia che è uno dei sogni ricorrenti degli amanti del mare durante l'inverno:
"...Spinning off, head is on my heart
It's like a bit of light and a touch of dark
You got sneak attacked from the zodiac
But I see your eyes spark
Keep the breeze and go
Blow by blow and go away
Oh, what do you say?
Yeah, you don't know my mind
You don't know my kind
Dark necessities are part of my design
Tell the world that I'm falling from the sky
Dark necessities are part of my design..."
Il basso sparato a cannone scandisce il ritmo e la caratterizza, facendola diventare un perfetto esempio di funk-rock, miscuglio di generi in cui i nostri sono maestri (avete presente "Can't stop"?).
"The getaway" non tradisce le promesse di "Dark necessities", che è un grande singolo d'apertura; l'abum si ascolta con piacere, gli episodi riusciti sono diversi e praticamente tutti portano i tratti distintivi dei Peppers. E' un album vacanziero, per questo sprecherò una manciata di raffronti con il tipico clima da spiaggia.
Prendiamo "Feasting on the flowers", per esempio:è compassata, rilassata, e la melodia si arrampica su una scala singhiozzata di chitarre e su cori sessantiani che ricordano le ballads dei Beach Boys;
diventa un pezzo da passeggiata in riva al mare, con i piedi appena bagnati dall'acqua fresca, le vacanze ancora tutte da vivere e finalmente un pò di pace dalla routine di tutti i giorni.
Un altro grande brano presente sul disco, è "We turn red", che si apre con una batteria possente (che con i primi 3 colpi ricorda quasi "Kashmere" dei Led Zeppelin), si sviluppa con la chitarra strozzata di Klingenhoff (sicuramente più integrato oggi nel sound del gruppo rispetto a quanto lo poteva essere 5 anni fa) e si libera in un ritornello acustico ed etereo, così delicato e zuccheroso che è un piacere per le orecchie.
Visto che ormai ho portato "The getaway" sulla spiaggia (elemento naturale di un gruppo californiano, i Red Hot saranno senz'altro contenti di questo accostamento), immaginiamo un bel bagno rinfrescante, sdraiati su di un lettino gonfiabile con l'acqua intorno che culla il corpo e lo spirito, mentre nelle cuffie suona "Sick love". Non sono ritmi scatenati, ma che producono sensazioni alla moviola, dove tutto procede volutamente a rilento, senza scadenze e senza orari di sorta; eppure c'è dietro sempre una vena malinconica rappresentata dal fatto che prima o poi tutto ciò deve pur finire, perchè la vita reale verrà sempre a reclamare il suo spazio. L'andatura di "Sick love" segue questo pensiero, con un ritornello solare e divertente abbinato a strofe un pò amare, ed uno splendido "bridge" che funge da passaggio necessario da una sensazione all'altra:
"...Say goodbye to Oz and everything you own
California dreamin' is a Pettibon
LA's screaming you're my home
Vanity is blasted but it's rarely fair
I could smell the Prozac in your pretty hair
Got a lot of friends, but is anyone there
I don't know but it's been said
Your heart is stronger than your head
And this location is my home
Stick 'n move you're living in a quick world
Got a heavy laugh for such a tiny girl
Born into it that's for sure..."
Il passaggio più delicato e melodico vede Elton John in veste di pianista ed ospite d'eccezione, e questo contribuisce a rendere "Sick love" uno dei pezzi più belli dell'intero album.
Ma il funky e l'energia che li ha sempre contraddistinti dov'è? direte voi. 
Beh, c'è anche quello:la title-track "The getaway" è un pezzo veloce, tirato e viscido, che ti si appiccica addosso come la sabbia quando, giocando a beach volley chiaramente tutto sudato, ti tuffi per recuperare la palla in extremis per evitare di lasciare il punto all'avversario. Con quella chitarra schizofrenica, che si piazza in sottofondo e non si ferma mai, trasmette un senso di ansia e di frenesia:non a caso è stato scelto come pezzo d'apertura dell'intero lavoro. Qui si sentono chiaramente reminiscenze di brani come "Around the world" e "By the way", ma in modo più soft e, generalmente, più melodico. Il pezzo è comunque un ottimo esempio di quanto i Red Hot abbiano saputo architettare nella loro trentennale carriera:shakerando punk, hip-hop e rock hanno creato un suono meticcio caratterizzato dalle influenze più disparate, originale ed inimitabile.
Ora:alzi la mano chi non ricorda "Roadtrippin" e quell'atmosfera incantata che fece di quel pezzo uno dei più belli dell'intero repertorio dei Red Hot; ebbene, "Encore" ne è l'esatta fotocopia, basata sulla stessa sfumatura vivida e profonda da clima californiano che il gruppo riesce a trasferire in note in modo eccellente. Il ritornello è trascinante, e l'aria leggera e solo apparentemente spensierata ben si accosta come accompagnamento ad un falò notturno fra amici, dove le espressioni dei visi vengono mostrate solo a tratti dai riflessi delle fiamme, delineando i tratti distintivi di ognuno senza mostrarli apertamente. Sembra che tutti i pensieri scorrano al rallentatore come la musica, che con il suo incedere trasognato e con la voce di Kiedis ti culla come il rumore delle onde del mare notturno ed invisibile:
"Later on I'll read to you the things that I've been needing to say goodbye
Walk away from mom and dad to find the love you never had, tell no lies
Carry on and write a song that says it all and shows it off 'fore you die
Take a little breath before you catch an early death there is so much sky...
"

Numerosi sono i riferimenti ad un'epoca andata, quella degli anni '50, che viene rimpianta come più spensierata, più divertente e meno oppressiva della realtà attuale. Si parla di Beatles, di astronauti, di Ed McMahon (vecchio presentatore televisivo americano), ed è un affresco appena abbozzato di quel periodo velato da una cortina di reale nostalgia. "Encore" è davvero un pezzo riuscitissimo, che ci restituisce davvero i Peppers più ispirati, e va ad incastonarsi alla perfezione in un album come questo, quasi interamente costruito su quelle malinconiche sensazioni che sono legate ai ricordi più belli della gioventù e dell'infanzia.
Quando la temperatura è caldissima, c'è sempre bisogno di una sosta al bar:"Detroit" è un bel pezzo rockettaro, piuttosto gasato e con degli apprezzabili cambi di ritmo, un pò come i diversi sapori di un cocktail energetico e dissetante; e come ogni cocktail che si rispetti che, se ben miscelato, riesce a nascondere al palato quell'ingrediente che proprio non ci piace, "Detroit" riesce a sopperire ad una generale mancanza di incisività con un andamento deciso ed incalzante. E' anche uno dei pochi pezzi veramente veloci in un disco dove la selezione che va a comporre la spina dorsale, nel suo insieme, è fatta di mid-tempo e lenti acustici e scarni.
Purtroppo però, nell'album c'è anche qualcosa che non è all'altezza di quanto detto fino ad ora. 
Per esempio, "Go robot" (scelta addirittura come secondo singolo...ma cosa gli è passato per la testa?) è un brano piuttosto brutto, noioso e completamente fuori dagli schemi della band, che gioca con sonorità alla Daft Punk tirando fuori un miscuglio che non ha nè arte nè parte. "This ticonderoga" invece vorrebbe fare il verso agli ormai lontanissimi esordi dei peperoncini (ricorda "Higher ground" a tratti, per dirne una) con quelle chitarre elettriche quasi punk, ripetitive e persistenti, che dovrebbero spingere la canzone come vele spiegate al vento:in realtà, di spinta ce n'è ben poca, e quelle vele non si aprono neanche per un attimo perchè il risultato è confuso ed impiastricciato; alla resa dei conti, suona come un omaggio a delle origini che ormai non gli appartengono più. 
Il pezzo di chiusura, "Dreams of a samurai" ha un'apertura pianistica meravigliosa, accompagnata da una carezzevole voce femminile; l'intro resta però la parte migliore, perchè quando attacca il tema principale la canzone perde tutta la sua enfasi; questo è dovuto in parte alla sua aritmicità, ed un pò per l'eccessiva vena psichedelica che a lungo andare è stucchevole e superflua.
Tutto ciò non intacca minimamente il giudizio complessivo di questo nuovo lavoro dei Red Hot, che resta più che positivo:perchè dimostra che i Peppers non si sono persi per strada, e sanno ancora tirare fuori delle canzoni di spessore; perchè cancella l'appannamento di "I'm with you"; e perchè di album veramente validi, come ho già detto a più riprese, ne escono ormai ben pochi e questo lo è senza ombra di dubbio.
Di certo,"The Getaway" rimane una spanna sotto al capolavoro del gruppo, che resta"Californication"; ma da quest'ultimo hanno saputo trarre le cose migliori e l'atmosfera globale, che è stata poi rielaborata in note con sapienza e maestria senza particolari stravolgimenti.
Alla fine, perchè i peperoncini avrebbero dovuto intaccare i propri tratti distintivi, correndo un rischio inutile e deleterio? Cosa devono ancora dimostrare?
A chi dice "eh, ma fanno sempre le stesse cose", io rispondo:quando prendi un disco dei Red Hot Chili Peppers, deve suonare come un disco dei Red Hot Chili Peppers, che diamine!
E così la vacanza giunge al termine, ed arriva sempre quel momento terribile in cui bisogna riporre le proprie cose in valigia per tornare alla vita reale di tutti i giorni:"The getaway" diventa così la cartolina ricordo di un'estate passata al mare, tra giochi, bevute con gli amici e sieste pomeridiane condite dal frinire delle cicale. Quell'estate che ti ha visto, per una volta, canticchiare "Dark necessities are part of my design" in luogo del solito "Dream of californication", mentre la mattina cammini, zainetto sulle spalle, per raggiungere la spiaggia. Un'estate come tante, ma con una nuova colonna sonora firmata, ancora una volta, dai Red Hot Chili Peppers.


VOTO:7/10
BEST TRACKS:"DARK NECESSITIES", "WE TURN RED", "ENCORE", "THE GETAWAY", "SICK LOVE"





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