martedì 7 febbraio 2017

RECENSIONE:CURTIS HARDING - SOUL POWER (2015)

CURTIS HARDING - SOUL POWER (2015)
LABEL : ANTI/EPITAPH RECORDS/BURGER RECORDS
FORMAT : LIMITED EDITION CLEAR VINYL + CD







La presenza di un disco come questo nella mia collezione, è dovuta alla segnalazione di un mio amico che ha insistito tanto per farmelo ascoltare, dicendomi "sentilo, perchè ne vale veramente la pena!". Alla fine mi sono lasciato convincere, e devo dire che aveva ragione:questo è un album fuori dal comune, poco pubblicizzato, senza una grande label alle spalle, da cercare quindi nei negozi specializzati che ne avranno sì e no un paio di copie (non aspettatevi stock in grandi quantità) e che quindi non troverà mai spazio sugli scaffali in bella vista. Inoltre, è il lavoro di un esordiente (che incredibilmente sembra già un veterano), ed è risaputo che se non hai il tormentone che diventa virale oppure un nome di richiamo, raramente guadagni quella visibilità necessaria a "vendere" il tuo prodotto.
Non oso neanche immaginare quanti altri tesori simili a questo disco passino inosservati, sconosciuti alla stragrande maggioranza delle persone che acquistano dischi, me compreso:senza segnalazioni da parte di nessuno, io ancora oggi non saprei chi è Curtis Harding.
Cos'ha dunque, di speciale questo album? Semplice:è un disco di soul grezzo, che sembra uscito 30 anni fa, suonato e cantato da un soulman d'altri tempi catapultato ai giorni nostri da una macchina del tempo. Metti la puntina sul disco, lasci partire "Next time", e non puoi non rimanere affascinato dal ritmo travolgente della Fender e della batteria che accompagnano questa voce calda a tratti sofferente, a tratti gioiosa, con Curtis che sembra la stia suonando davanti a te, tanto è essenziale e pulito il lavoro. Non c'è niente di artefatto, è tutto molto crudo e spoglio, e se proprio si vuole ad andare a cercare il pelo nell'uovo, è che questo vinile appena scartato suona troppo "pulito" e se ci fosse qualche scricchiolìo in più (che arriverà, a forza di ascoltarlo) lo renderebbe ancora più vintage, più d'annata.
Ad un'analisi più attenta, è proprio quello che Harding dice nelle primissime strofe della canzone :
"We could've went to heaven
Put you in your place
Now we're somewhere else
Outer space
I'm staring in the mirror
I broke the fucking glass
Now we're somewhere else
Living in the past..."
Il ritmo incalzante lo rende uin brano godibilissimo, una classico instantaneo che alla fine risulterà essere anche uno dei migliori pezzi dell'intero album. Con il secondo solco, arriva subito un break, una pausa raffinata e riflessiva intitolata "Castaway", tipico lento con chiarissime reminiscenze del blues anni 60 più malinconico, intervallato da due assoli alla B.B.King davvero emozionanti.
Niente di originalissimo, ovvio, ma neanche di banalmente scopiazzato, perchè l'interpretazione sentita ed accorata - con vocals riverberate per renderle volutamente più distanti dall'ensemble sonoro - è un qualcosa che non puo' non entrarti dentro e tenerti incollato ad ascoltare il pezzo, davanti ad un bicchiere di buon whisky, rilassato nella penombra. L'effetto, rarefatto ed intimo, è figlio dell'atmosfera che riesce a creare l'interprete:
"Cast it away
Focus your pain
Relax yourself
Detach yourself
And cast it away
And if they should fall
Here's what you do, here's what you do
Don't cry at all
It's best for you, it's best for you
So just cast it away..."
Neanche il terzo brano in scaletta scende di livello, tanto da chiedersi se si stia ascoltando una compilation soul con James Brown,Curtis Mayfield, gli Everly Brothers reinterpretati e rivisti in chiave del tutto personale da questo artista uscito da un'altra epoca; "Keep on shining" infatti, torna su ritmi frenetici tipici dei migliori riempi-pista della Motown, ed è trascinante e piena di vitalità, e si contrappone alla successiva "Freedom", che è cantata interamente in falsetto con degli innesti jazzistici di alta scuola e senza dubbio più cupa e riflessiva degli altri brani in scaletta, ma allo stesso tempo è anche un'ulteriore riprova del talento e delle capacità vocali di Harding, che dimostra di essere oltretutto poliedrico e camaleontico.
In un'intervista a Rolling Stone - Harding definisce il suo stile "Slop'n'soul", dove per "slop" si intendono gli avanzi di un pasto, mescolati ad arte con un'insieme di ingredienti tipici della musica black, indie e hip-hop compresi. "Heaven's on the other side" ne è un tipico esempio, dove si affacciano anche influenze funky alla Chic, e un riff chitarristico spensierato che dona solarità ad un brano piacevole e divertente, e che funge da ottimo preambolo alla bellissima "Beautiful people" che più di tutti gli altri brani mi ha convinto a voler comprare assolutamente questo album.
Con la voce carica di effetti che mai si scontrano con le sonorità del brano, ed anzi gli donano un tocco solenne, più etereo, "Beautiful people" merita di essere definito come episodio più riuscito del disco, perchè si allinea ai grandi classici neri da gospel, sia per le sonorità che per i contenuti compositivi da "ritorno alle armi", con il testo che deve molto al sempre attuale "A change is gonna come" di Sam Cooke, per esempio, mantenendo sempre una sua identità così radicata da essere già marchio di fabbrica:
"Now draw the line
Seize the time
Build a home…be free
Listen up, beautiful people
You got to stand up or die...
L'inno di Harding incita il suo popolo a tracciare una linea per difendere la propria libertà e riscoprire le proprie radici, e lo fa ergendosi a trascinatore della folla, riconosciuto e credibile.
L'abum prosegue a ritmo serrato, raccogliendo altri "slops" qui e lì e rielaborandoli con classe:"The drive" sembra uscita da uno dei primi lavori di Lenny Kravitz, mentre "Surf", costruita su un una base di basso martellante attinge molto dall'indie britannica e dalla garage music, tipicamente "bianca"; Mescolare in modo così risucito certi generi completamente diversi, è un azzardo che in questo caso è pienamente riuscito. La musica black rielaborata sotto ogni sfaccettatura è tema ricorrente in ogni singolo brano dell'album, e rende il tutto, a suo modo, un opportuno omaggio alle parole e al tracciato musicale della vecchia guardia del genere.
Con una madre cantante gospel, ed una sorella maggiore assidua ascoltatrice di acid rock, è facile intuire dove Curtis Harding abbia trovato l'ispirazione per un tale miscuglio, e sul come sia riuscito ad avventurarsi con tanta semplicità ed immediatezza fuori dai canoni classici senza andare minimamente ad intaccare gli schemi del filone rhythm & blues.
"Soul power" è per questo un ottimo esordio, un disco crudo ed essenziale ma allo stesso tempo unico e carico di sfumature, mai noioso, volutamente vintage ma allo stesso tempo innovativo. In tempi di magra come questi, dove imperversa una certa carenza di idee e una sempre più frequente mancanza di ispirazione , c'è bisogno di prodotti simili a questo, e un'assoluta necessità di buona musica.
Se Harding saprà valorizzare il lavoro già svolto, magari con un seguito di "Soul power" all'altezza o addirittura migliore, forse potremo dire di trovarci davvero di fronte ad un grande artista, ad un soulman di altri tempi che è prodotto autentico di questi anni. In questo caso, bisognerà rompere quella macchina del tempo che lo ha portato qui per non permettergli di tornare indietro da dove è arrivato. E tenercelo stretto.


VOTO : 8/10
BEST TRACKS : "NEXT TIME", "CASTAWAY", "BEAUTIFUL PEOPLE", "THE DRIVE".







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